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mercoledì 26 settembre 2012

Tito Livio racconta il principio del Bellum Neapolitanum

Come già anticipato altrove, la nostra principale fonte di informazioni sulla guerra tra Roma e Neapolis è uno scrittore “nemico”: Tito Livio. In questo post commenterò i passi nei quali l'autore romano narra come sia scoppiato il Bellum Neapolitanum.
Cominciamo dalla seconda parte di “Ab Urbe Condita”, VIII-22:
[…]
C'era una città chiamata Palaepolis, non lontana dal punto in cui è ora Neapolis, e le due città erano abitate da un solo popolo. La loro città-madre era Cuma, e i Cumani derivano la loro origine da Chalcis in Euboea.
Grazie alla flotta con la quale salparono dalla loro casa, essi godettero di molto potere sulla costa di quel mare presso il quale dimorano; avendo preso terra prima sull'isola di Aenaria e le Pithecusae, essi si avventurarono poi a trasferire le loro sedi sulla terraferma.
Questa nazione, contando in parte sulla propria forza, in parte sull'infedeltà mostrata dai Sanniti nella loro alleanza coi Romani, o forse sulla piaga che, si era detto, aveva aggredito la città di Roma, compì molte azioni ostili contro i Romani che risiedevano nei distretti della Campania e dei Falerii.
Quando dunque Lucius Cornelius Lentulus e Quintus Publilius Philo furono consoli (il secondo, per la seconda volta), i feziali furono inviati a Palaepolis per chiedere soddisfazione; e quando quelli tornarono con una risposta focosa da parte dei Greci - una razza più valorosa con le parole che nelle azioni - il popolo spinse una risoluzione del senato e ordinò che si facesse guerra a Palaepolis.
A causa della divisione del comando tra i consoli, la guerra ai Greci venne affidata a Publilius; a Cornelius, con un altro esercito, fu ordinato di essere pronto per i Sanniti, nel caso in cui essi fossero scesi in campo; e siccome girava voce che essi stavano solo aspettando di muovere il loro esercito nel momento in cui i Campani avessero cominciato una rivolta, quello era sembrato il posto migliore per l'accampamento permanente di Cornelius.
Tanto è bastato per far suonare nella mia testa un migliaio di campanelli.
Tito Livio non è un autore noto per la sua imparzialità, tant'è che a tutt'oggi si leggono storici di calibro (vedi l'ottimo ma sterile Cornell, “The Beginnings of Rome: Italy and Rome from the Bronze Age to the Punic Wars”) intenti a polemizzare con l'immagine da lui trasmessa di una Roma in perenne guerra per pura difesa.
Potremmo dire che la guerra “preventiva” non è un concetto inventato da G.W. Bush, ma davvero non ne sentiamo la necessità: sappiamo che nella storia sono fiorite (e si sono poi estinte) civiltà che non hanno fatto della guerra il loro credo principale, mentre è proprio Livio, con la sua interminabile sequela di eventi bellici, che ci lascia scettici su quanto potesse essere difensiva la politica estera romana.
Nondimeno, leggere Livio e confrontare il suo testo con altri storici più o meno a lui contemporanei mi ha dato l'idea di un partigiano, ma non di un fazioso, una persona persino attenta a non urtare la suscettibilità degli avversari di Roma a lui contemporanei.
Nelle prime righe di questo passo, leggiamo infatti che C'era una città chiamata Palaepolis, non lontana dal punto in cui è ora Neapolis, e le due città erano abitate da un solo popolo.
Livio sembra essere l'unico (sic!) storico dell'antichità a conoscenza dell'esistenza di questa Palaepolis. Non è un dettaglio di poco conto, perché quando ci sarà da celebrare il trionfo sulla città sconfitta, esso sarà un trionfo Palaeopolitano, su Palaepolis, e non su Neapolis. Insomma, sembra che fin dal principio della sua versione Livio abbia voluto distinguere nella popolazione di Neapolis una parte ostile a Roma, ed una amichevole; una parte davvero responsabile della guerra a venire, ed una parte che vi fu trascinata.
Segue una descrizione della storia e della forza del futuro avversario che fa pensare ad un discreto controllo della città sul golfo.
A questo punto, viene enunciato il casus belli: “molte azioni ostili” contro i Romani residenti nell'ager Campanus e nell'ager Falernus.
È sorprendente leggere in una sola frase tante informazioni: l'uso della parola “nazione” per Neapolis (perché è evidente che, nonostante Livio abbia parlato di due città, in fin dei conti è l'intera città-stato Neapolis ad essere l'oggetto dello scontro venturo). Il commento sulla “propria forza” neapolitana si può leggere come un atto di superbia o come un ribadire l'effettiva potenza della città-stato, ed il fatto che Livio lo sottolinei una seconda volta potrebbe convalidare questa seconda ipotesi, pur senza negare la prima.
Il commento sull'infedeltà dei Sanniti all'alleanza con Roma è più sottile, perché bisogna sapere che i Sanniti si prestavano volentieri ad arruolarsi come mercenari, e siccome era in vigore una tregua tra Roma ed il Sannio a seguito della Prima Guerra Sannitica, Livio sta implicitamente dicendo che in qualche modo Neapolis aveva arruolato mercenari sanniti per arrecare danno ai Romani nei propri dintorni.
Che tra Roma ed il Sannio non scorresse buon sangue è noto, ma era stata la stessa Roma a provocare il risentimento sannita, come avremo modo di apprendere dallo stesso Livio in un altro post. Ma questa presunta infedeltà dei Sanniti all'alleanza con Roma diventa ancora più pretestuosa proprio perché, in quanto mercenari, i Sanniti dei quali i Neapolitani avevano presumibilmente chiesto i servigi, erano privati cittadini, come avremo probabilmente modo di dimostrare altrove.
Infine, la presunta piaga della quale si era vociferato… A parte il fatto che calamità del genere dovevano capitare abbastanza frequentemente, tanto da non essere certo un buon motivo per aggredire un vicino, possiamo immaginare che questa calamità in concreto fosse di entità abbastanza grave da lasciare traccia negli annali. Ebbene, è lo stesso Livio (VIII, 18) che cita qualcosa del genere a Roma, ma per l'anno 331 a.C., ovvero ben tre anni prima degli eventi riportati nel passo in esame!
Infine, ed in maniera alquanto puerile, Livio dice che i Neapolitani avrebbero scatenato la loro aggressività sui Romani… Perché solo sui Romani? Ma soprattutto, che senso poteva avere un'azione del genere quando era proprio con l'avallo di Roma che Neapolis era diventata il centro di una zona di scambi commerciali che usava come moneta il tipo della polis greca?
Finalmente Livio ci dice in che anno sono accaduti i fatti narrati: al principio del consolato di Lucio Cornelio e di Quinto Publilio (328 a.C.) i feziali furono mandati a Neapolis a “chiedere soddisfazione”.
Non ho scelto quest'espressione per pura velleità letteraria, ma perché i feziali non erano propriamente diplomatici. Essi erano sacerdoti (ops, guarda: il ruolo dell'ambasciatore era sacro!) custodi dei patti tra Roma e le altre nazioni. Ma il loro ruolo era nella pratica quello di dichiarare “giusta” una guerra.
Il loro cerimoniale era elaborato, ed in altri passi Livio stesso ci erudisce su come Roma dichiarava guerra ad altre nazioni. Orbene, la “richiesta di riparazione” era il secondo passo di tali cerimoniali, e la guerra poteva evitarsi solo se la controparte avesse soddisfatto alle richieste presentate dai Romani. Di quale entità potessero essere queste richieste lo vedremo altrove, ma in genere erano quel tipo di cose che farebbero perdere la pazienza ad un santo. Non stupisce dunque se la risposta neapolitana fosse un po' “briosa” (i napoletani di allora non erano tanto diversi da quelli di oggi), ma tant'è che la guerra fu dichiarata.
A questo punto, i due consoli scendono in Campania con due eserciti (evidentemente consolari, ovvero 9'000 uomini l'uno, all'epoca), e fanno qualcosa di peculiare: Publilius muove guerra a Palaepolis (da notare, Livio insiste che la guerra non fu contro tutta Neapolis, ma solo contro Palaepolis), mentre Cornelius si accampa permanentemente nella pianura campana per prevenire sortite da parte sannita.
L'episodio, così come ve l'ho riportato, viene citato unanimemente come il principio della Seconda Guerra Sannitica. Il vero nemico di Roma non è Neapolis, ma il Samnium. È il Samnium che Roma vuole aggredire, e purtroppo qualcosa deve essere accaduto in Neapolis per meritare che un esercito consolare vi si dirigesse.
Che cosa, sarà l'argomento di un altro post.

4 commenti:

  1. bravo Marino! bellissimo post!

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  2. Grazie Fabio, speriamo di mantenere anche gli altri allo stesso livello!

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  3. Post davvero interessante e chiarificatore! Ho notato che alla fine fai riferimento ad un potenziale post successivo sul fatto che "qualcosa deve essere accaduto in Neapolis per meritare che un esercito consolare vi si dirigesse". L'hai per caso realizzato?

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    1. Ciao tillap, e grazie per l'attenzione.
      In realtà, il "qualcosa" si è forse un po' perso nel filo del discorso dei post successivi, ma è finalmente detto qui: http://sirenaparthenope.blogspot.it/2013/01/una-ricostruzione-le-forze-in-gioco.html
      Se segui il filo dei post collegati a quello, forse riesco a convincerti :) che in realtà la guerra era contro i Sanniti che erano stati alloggiati a Parthenope, la città vecchia.
      Fammi sapere se l'impianto della ricostruzione regge al tuo vaglio.
      A presto!

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