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venerdì 8 marzo 2013

I Nomi Degli Antichi

Diverse culture che usano diverse lingue, hanno presumibilmente anche diverse usanze per quel che riguarda l'onomastica degli individui. Nella stesura di Neapolis - Il Richiamo della sirena ho cercato di curare anche quest'aspetto, solo apparentemente di secondo conto.
Il nome col quale ci sentiamo chiamare tutti i giorni plasma in qualche modo la nostra personalità: sapere che esso si riferisce a un nostro avo, o che possiede un determinato significato, o che ci è stato attribuito per un determinato evento, influisce comunque sul nostro carattere, sul nostro umore, sul nostro modo di rapportarci col mondo. Potremmo sentirci orgogliosi, o schiacciati da un peso troppo grande, o pieni di voglia di rivalsa, e ciò per tutti i nostri giorni, giacché un nome non è una cosa che si cambi così su due piedi.
Ma vediamo dunque quali erano le usanze onomastiche ai tempi della vicenda del romanzo, cultura per cultura, cominciando dai Romani.
Nell'antica Roma, il sistema tradizionalmente riconosciuto dei tria nomina era un'usanza tarda, non anteriore nei documenti ufficiali al 100 a.C. I tria nomina erano praenomen, nomen e cognomen.
Il primo elemento era il nome personale, quello dato alla nascita, di uso familiare. Nei documenti, il prenome si riduceva generalmente all'iniziale, era abbastanza poco importante eccetto che per le relazioni familiari e confidenziali, e veniva raramente usato da solo.
Il secondo elemento era il nome gentilizio, quello della gens, ovvero la famiglia di appartenenza. Le gentes romane erano in principio poche, e pochissime quelle dotate di una certa importanza, ma con l'andar del tempo le cose si complicarono con l'ingresso nella cittadinanza romana di persone o famiglie di tradizioni e culture diverse, che quindi non avevano alcuna gens di appartenenza.
Il terzo elemento, al tempo delle vicende di Neapolis, era un soprannome legato a una loro caratteristica personale o a un evento che li aveva visti protagonisti. Esso comparve come soprannome o nome personale che distingueva un individuo di una certa gens, spesso esso risultava quindi il solo elemento personale del nome, tanto da diventare poi posteri il nome con cui il personaggio è noto. Inoltre, il cognomen a Roma, spesso deriva al generale da campagne vittoriose su popolazioni nemiche.
In Neapolis - Il richiamo della sirena ho attentamente curato quest'aspetto come nel caso di Quinto Publilio, il console romano che cinse d'assedio la città. La radice greca del cognomen (Philo), infatti, è assai particolare: il suo significato potrebbe essere assimilato ad “amico”, ma come è possibile che il capo dell'esercito romano avesse meritato o si fosse dato tale appellativo pur avendo assediato la città greca? Nel romanzo propongo una spiegazione, ed anzi ritengo che proprio questo elemento corrobori la mia visione di un grande bluff giocato a danno dei Sanniti di stanza a Parthenope.
I Greci avevano un'onomastica bimembre, formata da nome individuale o prenome seguito dal patronimico. La scelta del nome non sottostava a regole fisse, ed esso poteva avere valore onorifico o ricordare divinità, anche se c'era alle volte l'usanza di dare al neonato il nome del nonno paterno. Alle volte, a questi due membri veniva aggiunto un indicativo della città o del demo di appartenenza, ma in nessun caso questo poteva sostituire il nome ufficiale.
In origine, le formule onomastiche sannite erano costituite dal solo nome proprio a volte associato, come per i greci, ad un secondo nome che poteva essere un patronimico, un toponimico od anche un soprannome di tipo qualitativo. Il contatto coi Romani alteró e ampliò la gamma delle funzioni, comprendendo il nome personale, il gentilizio e, a partire dal III sec. a.C., il cognome. Ci sono evidenze storiche ed archeologiche della funzione etnica del cognome. Il fatto che tale cognome non venisse usato nei documenti ufficiali, non vuol dire però che esso non venisse impiegato oralmente, se non per indirizzarsi ad una persona, quanto meno per riferirsi ad essa in sua assenza.
Epigrafe sannita

Epigrafe sannita. È evidente l'uso di un alfabeto italico diverso dal latino e la scrittura da destra verso sinistra. Fonte: Sanniti.

Nel mio romanzo vediamo rispettata questa situazione di apparente indecisione: oltre ad alcuni protagonisti (Gavio e Paccio), il cui gentilizio rimane del tutto ignoto (immagino che, per motivi burocratici, ad un certo punto il gentilizio di Gavio sia stato sostituito da un patronimico), troviamo un Erennio Ponzio per parlare del quale altri personaggi usano anche il toponimico “Telesino”.
Spero che il post sia stato di vostro interesse e vi dò appuntamento al prossimo.

5 commenti:

  1. Cioè mi stai dicendo che è per questo motivo che mi rode sempre?
    Cioè io son "sacro a marte" e questo spiegherebbe anche i miei sbalzi di umore!
    In quanto anche "predivinità della primavera"- distruzione e rinascita fanno di me uno che non sta tanto a posto con la testa?
    Ahpperò!
    E se mi avessero chiamato come i miei nonni?
    Non voglio nemmeno pensarci!

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  2. Ma il post riguarda l'onomastica antica, mica te!
    Certo è che uno, a furia di sentirsi chiamare in un certo modo, si adegua! :D

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  3. P.S.: ma perché, come si chiamavano i tuoi nonni?

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  4. Lavoro (sì, sì lo so) e l'altro Edmondo!

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  5. Non ci vuoi pensare? Mai come oggi, proprio Lavoro sarebbe stato beneaugurante!
    Edmondo... non mi pare affatto male per uno scrittore tuo pari. Certo, tu saresti stato più brillante del De Amicis!

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