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giovedì 10 ottobre 2013

Miti in lotta

Il post di oggi potrà sembrare al limite della fantasia, giacché cercherò di illustrare come i miti abbiano una loro precisa consistenza nell'evoluzione della cultura di un popolo.
In concreto, il mito che analizzerò è quello della Sirena Perthenope in relazione alla sua città Napoli, e desidero mostrare come la sua affermazione nella tradizione neapolitana del V sec. a.C. sia un fatto politico di importanza fondamentale per dimostrare l'insistenza su Neapolis di popolazioni di diversa ascendenza, anche quando le prove archeologiche non ci supportano. Anzi, la valutazione di elementi filologici/leggendari può spiegare eventi storici altrimenti non meglio inquadrabili.
In questa storia abbiamo diversi attori mitologici: Apollo, Athena, Demetra, Parthenope stessa. I protagonisti umani sono invece i Teleboi che (si dice) da Capri/Sorrento fondarono Parthenope su Pizzofalcone, i coloni che dall'Eubea vennero a fondare Cuma, i Siracusani e gli Ateniesi.
È noto che, terminato il cosiddetto Medio Evo dell'antica Grecia, le città-stato (polis) erano i centri di aggregazione di questo territorio. Costantemente in lotta le une contro le altre, sapevano però fare fronte comune quando c'era da combattere un nemico esterno a questa litigiosa confraternita.
I motivi delle lotte erano tanti, non solo commerciali. In qualche caso, si trattava anche di motivi storici ed etnici, come è il caso di Atene, una delle città che vantava la propria ionicità dopo il Medio Evo (tra il XII e il IX sec. a.C.) che alcuni hanno voluto spiegare con la supposta invasione dei Dori.
La presunta invasione dei Dori

Andamento della presunta invasione dei Dori. L'unica prova certa di questo evento è l'analisi linguistica, nondimeno al termine del Medio Evo dell'antica Grecia, le diverse popolazioni greche si dividevano come illustrato nell'immagine

Dotati di queste differenze storiche e culturali, periodicamente le polis greche soffrivano periodi di sovrappopolazione, carestia, pestilenza, tutte condizioni che ne spingevano parte della popolazione a cercare miglior fortuna presso altri lidi. Nondimeno, Teleboi, Ioni, Eoli o Dori che fossero, tutti questi popoli si dicevano comunemente Elleni.
I Teleboi, se mai sono esistiti, sembra appartenessero a un'etnia precedente al Medio Evo greco, e dall'Acarnania e dalle isole dello Ionio erano anticamente giunti a Capri. Probabilmente erano loro i primi fondatori di Parthenope su Pizzofalcone (Acheloo, padre della Sirena Parthenope, è un fiume dell'Acarnania che verrà in seguito occupata dai Dori), e magari si deve a loro l'importazione su suolo italico del mito delle Sirene. Infatti, in tutta la penisola sorrentina troviamo riferimenti alle Sirene.
La colonizzazione della Magna Grecia

Andamento della colonizzazione in Magna Grecia divisa per etnie.

Ma in mancanza di dati certi, possiamo attribuire l'importazione del mito delle Sirene anche ai Calcidesi di Eubea, di stirpe Ionia, che fondarono Cuma e, da quella, Parthenope come avamposto commerciale. Anch'essi, infatti, vennero spostati verso la loro terra d'origine, l'isola di Eubea, dalla presunta invasione dei Dori.
Intorno al 470 a.C. si svolse la guerra tra Greci e Etruschi per il dominio del Tirreno. Per terra Cuma riuscì ad avere la meglio su di un esercito numerosissimo, ma per mare chiese l'aiuto dei Siracusani, grazie ai quali il dominio etrusco dei mari giunse alla sua conclusione e si aprì la strada ai traffici dei greci.
Sembra che durante la guerra Cuma abbia dovuto temporaneamente abbandonare Parthenope, probabilmente troppo esposta alle incursioni nemiche, o addirittura che abbia approfittato della guerra per abbandonare a sé stessa quella che si stava dimostrando una temibile rivale commerciale. Sta di fatto che i Cumani furono colti da una pestilenza e, per capire il significato di questo prodigio, inviarono un'ambasceria a Delfi.
La Pithya (la sacerdotessa di Apollo, dio degli oracoli e delle pestilenze ma soprattutto divinità dorica) suggerì loro di ricostruire Parthenope, cosa che i Cumani non si fecero ripetere due volte, creando così il nuovo quartiere, la Nea-polis.
Ma Siracusa, città fondata da Corinto e quindi di stirpe Dorica, non riuscì a essere sempre presente: la sua tirannide cadde e Atene (città ionia) approfittò di questa defaillance per espandere nel Mediterraneo occidentale il proprio cerchio di alleanze.
Le colonie della Magna Grecia divise per etnie

Mappa della Magna Grecia, con i territori divisi per distinte etnie. In bruno sono indicate le città fondate dai greci del nord-ovest (Illiri), in grigio dagli Achei (Eoli), in oro dai Dori e in viola dagli Ioni.

Orbene, Atene intorno al 450 a.C. era all'apogeo del suo potere, era naturale che cercasse di legare a sé le altre città ionie (come era Chalcis, lo ricordiamo, città madre di Cuma) anche con azioni di propaganda.
L'uomo che compì quest'azione di propaganda fu il navarca Diotimo, il quale giunse a Neapolis con dieci navi e seicento coloni, restaurò il culto della Sirena Parthenope (alcuni commentano espressamente “in chiave anti-siracusana”) e instaurò una corsa per portatori di fiaccola (lampadodromia) in suo onore.
Perché la Sirena Parthenope?
Perché la Sirena Parthenope era il nume esclusivo dell'antica popolazione. Sulle monete di Neapolis si trova spesso Apollo, ma questo era una divinità che Neapolis aveva in comune con Siracusa (nemica di Atene) e con Cuma, che ospitava l'antro della Sibilla, anch'ella sacerdotessa di Apollo.
Il piano diplomatico di Diotimo, arditissimo quanto riuscito, era invece quello di dare a Neapolis il pieno controllo del Golfo Kymaios (Cumano), con l'obiettivo di tagliar fuori Siracusa e i suoi alleati dallo scacchiere tirreno.
La monetazione ci aiuta a dire se quest'obiettivo riuscì e quanto: la moneta più comune di Neapolis è, per i seguenti duecento anni, uno statere d'argento con Parthenope sul recto, e Acheloo (non certo una divinità ionia al tempo di Diotimo, ma tradizionalmente Teleboica) sul verso.
Moneta neapolitana del IV sec. a.C.

Moneta neapolitana del IV sec. a.C. Sul recto è la testa della Sirena Parthenope, sul verso è Acheloo, padre delle Sirene, divinità fluviale effigiata come toro dalla testa umana, fiume dell'Acarnania, terra d'origine dei presunti Teleboi.

Diotimo riuscì a far trovare in quella protezione divina la molla d'orgoglio che rese Neapolis la città più potente del Tirreno centrale. Una protezione che non ha smesso di esistere solo perché sono trascorsi duemilacinquecento anni…
Molto si è detto sull'esistenza storica dei Teleboi, se essi non siano stata un'invenzione più tarda per giustificare elementi storici e filologici che, in altre epoche, non si era in grado di spiegare, confermare o confutare con documenti di altro tipo. A fronte della monetazione neapolitana è lecito chiedersi se, per quel che riguarda la storia della nostra città, il dubbio abbia davvero ragione d'esistere: per centinaia d'anni i neapolitani vissero ben convinti della loro teleboicità, sicuri dell'antichità del loro lignaggio, ed è con questa consapevolezza che essi si confrontavano con gli altri popoli. Lo facevano con l'arroganza di chi vanta nobili natali o antichi avi?
La ricostruzione che ho proposto in questo post e gli eventi che ho cercato di ricostruire in Neapolis - Il richiamo della Sirena dicono che no, fin dalle sue più lontane origini Napoli è stata una città di mescolanze. Nel nostro tempo di estremismi e intolleranze, l'accogliente spirito napoletano mi pare davvero l'antidoto giusto per il becero razzismo di paccottiglia che soffriamo.

2 commenti:

  1. E invece le zone lasciate in bianco era abitati dagli italici . In sicilia i siculi, in Calabria i bruzi, in Basilicata i lucani, in Puglia gli apuli(dauni e peucezi) in Campania i campani ecc....
    Voi al posto di parlare sempre del sud come colonia principale della magnia Grecia , parlate anche dei popoli autoctoni dell'Italia. Come ad esempio la Calabria, che come popolo autoctono avevano i Bruzi, quando i greci arrivarono sulle coste s'immischiatono coi bruzi , dando vita ad una cultura greco-italica. La stessa avenne in Sicilia coi siculi, così come in Campania ecc... parlate di più dei popoli da cui tutti noi italiani discendiamo, gli italici

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    1. Ciao Francesco,
      e grazie per l'attenzione dedicata a questo post.
      A QUESTO post, Francesco, perché se ti fossi sprecato due minuti due, avresti notato che il blog sul quale sei venuto a difendere chissà quale torto contro i popoli italici in generale e meridionali in particolare, di post ne ha pubblicati 88 (ottantotto).
      Di POST, realizzati facendo prima un'indagine documentale, non di commenti all'arma bianca sparati senza curare neanche l'ortografia ("magnia Grecia"...).
      Se avessi perso quei due minuti due, avresti anche visto l'importanza che dò a quei popoli italici che sei venuto a difendere in un blog che li ESALTA, visto che già nel mio primo romanzo più d'uno dei protagonisti è SANNITA, che sanniti ne sono gli eroi e tanti personaggi principali, e che tutta la mia opera è incentrata sulla restituzione della memoria storica delle popolazioni meridionali, con la loro abitudine ai contatti multiculturali!
      E sempre se avessi voluto perdere quei due famosi minuti due, avresti osservato che nel secondo romanzo, ora in preparazione, gli italici sono ancor meglio esaltati!
      Né voglio perdere l'occasione per sottolineare quel "Voi" che non si capisce a chi rivolgi. Sempre in quei due minuti due, Francesco, non hai nemmeno cercato il link al mio profilo personale, alla pagina FB del libro, non hai nemmeno cercato di capire a chi ti rivolgi, con un fare che è purtroppo degno dei tempi bruti nei quali viviamo.
      Io, Francesco, apprezzo enormemente la possibilità che Internet dà alle persone di esprimere ciò che pensano. Ma questo è un potere enorme e va usato con responsabilità. Io non ti chiedo di prendere una laurea prima di aprire bocca, né potrei farlo, per il semplice motivo che la storia antica NON è il mio campo di ricerca. Però ciò su cui ti ammonisco è semplicemente di LEGGERE ciò che commenti.

      Cordiali saluti

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