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lunedì 29 giugno 2015

Il tradimento di Capua (parte IV - Guerra in Campania)

Nell'ultimo post abbiamo raccolto indizi dell'enormità del tradimento campano: i notabili di Capua tentarono addirittura di approfittare dei rovesci di fortuna di Roma per ottenere che almeno un console fosse un campano.
Per quanto altisonante, ogni notizia va attentamente vagliata affinché una semplice diceria, spesso originata dalla propaganda del vincitore, non divenga ciò che non è, non assuma il rango di verità.
Dubitiamo, dunque, di quanto abbiamo narrato fin qui, e vediamo cosa accadde all'indomani del tradimento di Capua. Come si comportò questa città, suppostamente affrancata dall'arrogante dominio di Roma? L'obiettivo è valutare la consistenza delle accuse mosse dalle fonti filoromane partendo da altri eventi, dimodoché sia possibile cogliere un quadro d'insieme coerente o meno. Tralascerò per il momento ogni menzione dei famosi ozi che, come già promesso, tratterò in un prossimo post.
Cominciamo col dire che l'inverno del 216 a.C. Annibale lo trascorse coi suoi uomini a Capua o nei pressi, e uscì dalla città prima che giungesse la primavera del 215.
Cosa fecero i Capuani, lasciati a sé stessi? Si dedicarono ad attività pacifiche come la coltura dei campi o a nuove relazioni commerciali? No, imbaldanziti dalla novella alleanza col vincitore di Canne, pensarono invece di estendere il loro territorio a spese dei vicini. È emblematica, al riguardo, la tentata presa di Cuma, sventata dall'intervento del console Tiberio Sempronio Gracco:
[…] i Campani tentarono di farsi signori di Cuma da soli. Prima tentarono con la persuasione, ma non riuscendo a convincere i Cumani alla rivolta, decisero di usare uno stratagemma.
Tutti i Campani svolgevano un sacrificio rituale periodicamente a Hamae. I Capuani infromarono i Cumani che il senato Campano sarebbe andato lì, e chiesero che anche il senato Cumano fosse presente, al fine di giungere a un mutuo accordo, così che i due popoli avessero gli stessi alleati e gli stessi nemici.
Promisero anche che avrebbero avuto una forza armata, per prevenire qualsiasi pericolo proveniente da Romani o Cartaginesi.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 35]

Per i Campani, l'esito di quest'avventura fu disastroso:
Mentre Gracchus era occupato (con l'addestramento del suo esercito di schiavi volontari), messaggeri da Cuma lo informarono della proposta avanzata dai Campani pochi giorni prima e della loro risposta, e che la cerimonia si sarebbe tenuta entro tre giorni, quando non solo tutto il senato sarebbe stato lì, ma anche l'esercito Campano in un accampamento.
Gracchus ordinò ai Cumani di svuotare i loro campi e portare tutto nella città e di restare nelle mura, mentre egli stesso spostò il suo campo (era a Sinuessa dai primi di giugno) a Cuma il giorno prima che i Campani svolgessero il loro sacrificio.
Hamae era a circa tre miglia da lì. I Campani erano già, come accordato, convenuti in gran numero e non lontano Marius Alfius, il meddiss tuticus era accampato in segreto con quattordicimila uomini […] La cerimonia ebbe luogo di notte e fu terminata entro la mezzanotte.
Gracchus pensò che questo fosse il miglior momento per i suoi scopi, e dopo aver posto guardie ai cancelli dell'accampamento per impedire a chiunque di far sapere del suo piano, ordinò ai suoi uomini di riposare e dormire il possibile alle quattro del pomeriggio dimodiché fossero pronti a riunirsi quando si fosse fatto buio.
Alla prima guardia ordinò che l'esercito avanzasse marciando in silenzio verso Hamae, che raggiunsero a mezzanotte. L'accampamento campano, com'era da attendersi durante una celebrazione notturna, non era guardato con attenzione, ed egli attaccò simultaneamente da tutti i lati.
Alcuni furono uccisi nel sonno, altri mentre tornavano disarmati dalla cerimonia. Nella confusione e nel terrore della notte, più di duemila uomini furono uccisi, incluso il loro generale Mario Alfio, e trentaquattro stendardi furono catturati.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 35]

Si penserà che questo sia stato il peggior momento per Capua, dal punto di vista delle sue ostilità nei confronti dei suoi vicini, ma c'erano tutte le premesse per temere un simile comportamento già l'anno prima. Appena siglato il trattato tra Annibale e Capua, ad esempio, leggiamo che:
Quando (Annibale) apprese che Neapolis era tenuta da un ufficiale romano, M. Junius Silanus, che era stato richiesto dai Neapolitani, egli lasciò Neapolis così come aveva lasciato Nola, e andò a Nuceria.
Spese del tempo assalendo il luogo, spesso attaccandolo, spesso offrendo proposte tentatrici […] Infine la carestia fece il suo lavoro, ed egli ricevette la resa della città, e agli abitanti fu permesso di andar via senza armi e con un solo abito a testa. […]
Quelli si dispersero ovunque avessero amici […] tra le città della Campania, principalmente Nola e Neapolis. Circa trenta dei loro senatori, pare i loro più in vista, chiesero di entrare a Capua, ma fu loro rifiutato l'ingresso perché essi avevano chiuso le loro porte ad Annibale. Di conseguenza essi proseguirono fino a Cuma.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 15]

e capiamo così quanto successivamente affermato nel caso di Acerrae:
Dapprima il Cartaginese cercò di persuadere gli uomini di Acerrae ad arrendersi volontariamente, ma quando vide che la loro lealtà restava ferma, preparò l'assedio e un assalto.
Gli Acerrani erano più coraggiosi che forti, e quando videro che si preparava l'assedio intorno alle loro mura e che tentare una qualunque altra difesa era senza speranza, decisero di scappare prima che la linea di assedio del nemico fosse chiusa e, sgattaiolando nel pieno della notte attraverso i varchi non guardati nelle trincee, fuggirono, senza curarsi di vie o sentieri, come il caso o i loro piani li guidavano.
Scapparono verso quelle città della Campania che avevano ogni ragione di credere che non avevano mutato la loro alleanza (implicitamente, qui si fa riferimento a Capua).

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 15]

Ecco dunque raccolti tutti gli elementi che concorrono a definire il tradimento dei Campani: essi godevano della cittadinanza romana, i loro ottimati erano imparentati con le famiglie più nobili di Roma, eppure il loro disegno fu quello di assumere il potere sugli altri popoli d'Italia, cominciando dai loro stessi consanguinei. Avrebbero forse seguito una via indolore se i Romani avvessero accettato che un console fosse campano, ma all'epoca questa richiesta fu ricevuta come un insulto. Si diedero dunque ad Annibale compiendo efferratezze sui Romani che, ignari dei loro disegni, si trovavano in Campania. Infine, non richiesti da Annibale, giacché il loro trattato prevedeva esplicitamente che i cittadini campani non potessero essere costretti a servire nell'esercito cartaginese, tentarono di aggredire i loro vicini di propria iniziativa. Quando non furono capaci di imporre la forza delle proprie armi sui vicini, raccolsero la meschina soddisfazione di rifiutare assistenza ai loro consanguinei che fuggivano dalle armi cartaginesi.
Quando Roma riprese Capua, la sua vendetta fu dura, ma non tale da cancellare la città, il suo popolo o i suoi vizi. Forse dobbiamo alla pietà provata da Roma in quel tempo se la prepotenza, l'arrivismo, il vantaggio immediato a spese del prossimo sono ancora praticati al giorno d'oggi, in questa ricchissima terra.

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