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venerdì 22 febbraio 2013

La leggenda di Parthenope

In Neapolis - Il richiamo della sirena il ruolo attribuito alla sirena Parthenope nella vicenda parrà marginale. Nondimeno ella fa la sua comparsa e narra la propria storia.
Ho cercato di documentarmi naturalmente al meglio delle mie possibilità sulla vicenda di Parthenope, trovando più di quanto desiderassi, meno di quanto necessitassi. Le storie, le leggende su Parthenope non si contano, fondendosi spesso coi “si dice” privi di alcuna fonte. Alle fonti greche più antiche, che già si sovrapponevano e contraddicevano, secondo quell'abitudine così tipica nei frammenti greci di impiegare figure mitologiche e creare miti per spiegare eventi naturali, teorie filosofiche e scientifiche o, più prosaicamente, elevare oscuri alberi genealogici, si sono aggiunte le fonti romane che hanno apportato quel loro inconfondibile sapore di propaganda, la critica cristiana che ha cercato di cancellare il peccato dal pensiero stesso dei popoli, quella medievale, umanistica e rinascimentale che ha trasformato la sirena in una donna pesce, poi l'ha riportata a riva e ne ha popolato ogni anfratto della costa, quella spagnola e borbonica che aveva ormai perso la bussola e continuava ad apportare nuovi frammenti di incomprensione ad un mito perso nel tempo.
La filologia moderna, finalmente assurta al rango di scienza umanistica, potrebbe dire tanto in questo campo, e si percepisce in effetti la mancanza di un personaggio di peso che dedichi eccezionali doti di ricercatore alla pulizia del mito, al suo disseppellimento, al suo restauro, né più né meno che se fosse un reperto archeologico, ed alla sua conseguente divulgazione.
Io non posso chiaramente essere quel tale. Nondimeno, ho cercato di mettere insieme alcuni frammenti che mi sembra combaciassero, ed in questo post desidero farvi partecipi dell'idea che mi son fatto.
Il mito delle sirene l'abbiamo già incontrato in un passato post: le ancelle di Persephone non furono capaci di proteggere la loro padrona dal desiderio di Ade e furono punite da Demetra che le trasformò in mostri metà donne e metà uccello. In un primo momento la trasformazione avrebbe dovuto permetter loro di aiutare Demetra nella ricerca della figlia, ma le fanciulle si stancarono presto e abbandonarono l'intento. Un'altra tradizione vuole che sia stata Afrodite a punirle così per aver manifestato il desiderio di rimanere vergini.
Non sono gli unici esseri con questa caratteristica, anche le arpie sono descritte allo stesso modo. Ciò che differenzia le sirene propriamente dette è che tentano di irretire i naviganti che passano in prossimità dei loro lidi seducendoli con promesse, musiche e canti melodiosi. A Odysseos promisero una conoscenza sovrumana, ben sapendo che altre lusinghe avrebbero trovato l'itacese più sordo.
L'analisi etimologica del loro nome le mette in relazione con demoni solari capaci di addormentare gli equipaggi in alto mare durante la bonaccia estiva e di farli scivolare in acqua: gli uomini tentavano dunque di spiegare eventi che avevano funestato le loro esperienze di precaria navigazione facendo ricorso al soprannaturale.
Ulisse e le sirene

Ulisse, legato all'albero di maestra, passa accanto agli scogli delle sirene. Fonte: Wikipedia

Tutto ciò non spiega però come le ancelle di Persephone avessero preso dimora presso gli scogli della costiera amalfitana, oggi noti come “Li Galli” o “Sirenuse”.
Ebbene, le fonti greche e romane raccontano che presso Sorrento sorgesse un tempio alle Sirene (Strabone, I, cc. 22-3), e che sul promontorio di Punta Campanella si ergesse un tempio ad Athena di notevole rinomanza nel Mediterraneo. Alle sacerdotesse del tempio si ricorreva per chiedere vaticini, cosa singolare dal momento che in tutto l'arco del Mediterraneo il nume tutelare dei vaticini è Apollo Febo, il Sole, che tutto vede col suo occhio luminoso, proprio come Ra/Horus.
Possiamo dunque immaginare che, nel passaggio di Odysseo davanti al promontorio di Punta Campanella, Omero abbia voluto ricordare il pericolo che rappresentavano, per i naviganti greci da lui metaforizzati nell'itacese costantemente alla ricerca di nuove conoscenze, le sacerdotesse ad Athena dotate di arcano sapere. La curiosità avrebbe irretito questi uomini al punto di non farli più tornare a casa.
Può sembrare un argomento peregrino ma, a ben vedere, tutta l'Odissea è piena di simili pericoli: dopo una tempesta di nove giorni, le navi di Ulisse approdano all'isola dei Lotofagi, dove gli uomini dimenticano del tutto la loro patria sotto l'influsso dei cibi loro provvisti dagli indigeni; Circe trattiene l'eroe ed i suoi uomini per un anno intero (concependo un figlio da Odysseo); quindi Ulisse trascorre cinque anni con Calypso su Ogygia (i suoi uomini sono tutti naufragati presso Cariddi). Se l'Odissea è un racconto sui pericoli di chi va per mare, il semplice attardarsi su coste lontane va certamente annoverato tra questi.
Sembra che la sorte delle sirene, qualora un mortale fosse passato dinanzi alle loro coste senza cedere alle loro lusinghe, fosse la morte, ed è presentendo giungere la morte che, si dice, Parthenope prese il volo dai suoi scogli e andò verso nord. Con gli ultimi battiti d'ali giunse in vista dell'isolotto di Megaride (l'attuale Castel dell'Ovo), dove si lasciò cadere.
Cosa accadde dopo non è dato saperlo con certezza, perché qui comincia la leggenda di Parthenope il cui corpo, sembra, fu tumulato dagli abitanti della costa lì dov'era caduto.
Sebbene oggi non rimanga traccia di alcun monumento antico nella zona (gli scavi per la metropolitana di Napoli hanno messo in luce una piccola sezione di un antico porto greco-romano, ma non hanno certamente riportato in superficie l'intero litorale dell'epoca), il monumento alla sirena esisteva certamente, e ce ne danno tentimonianza autori più tardi, almeno fino a Stazio. Ogni anno, inoltre, una corsa rituale con una torcia (lampadoforia) si svolgeva per le vie di Neapolis in onore del nume, e la tradizione venne rispolverata nientemeno che da Augusto.
È possibile immaginare che qualche creatura prodigiosa (per gli indigeni del tempo) si fosse arenata lungo la costa e lì misericordiosamente seppellita, ma cosa essa fosse, quale il suo aspetto, non ci è dato saperlo, giacché i miti hanno la straordinaria capacità di miscelarsi tra loro e fondersi con la realtà in modi inattesi e difficilmente districabili.
Ma consultiamo una fonte sulla nostra Parthenope (traduco liberamente da questa fonte):
Lycofrone, Alexandra 712 ff (trans. Mair) (poeta greco del III sec. a.C.):
Ed egli (Odysseo) ucciderà le tre figlie (le Sirene) del figlio di Teti (Acheloo) che imitarono gli sforzi della loro madre melodiosa (Melpomene): gettatesi dalla cima della rupe nuotano con le loro ali nel Mar Tirreno, dove l'amaro filo filato dalle Moire le trarrà. Una d'esse (Parthenope) tratta a riva la riceverà la torre di Phaleros e il Glanis che bagna la terra coi suoi rivi. Lì gli abitanti costruiranno una tomba per la fanciulla e con libagioni e il sacrificio di buoi onoreranno annualmente la dea-uccello Parthenope. […] E lì un giorno in onore della prima dea (Parthenope) della fratellanza il comandante della nave di Popsops (lo storico ammiraglio ateniese Diotimo) preparerà per i suoi marinai una corsa di torce, in obbedienza a un oracolo, che un giorno il popolo dei Neapolitani celebrerà.
Quando la sirena morì e la tomba ad essa fu elevata, e la corsa stabilita come consuetudine, la leggenda era nata e la fece tornare in vita. È ancora possibile, ad esempio, leggere la leggenda sulla creazione della pastiera napoletana, secondo alcuni opera della stessa Parthenope, persino su Wikipedia!
Narra la leggenda che la sirena Partenope dimorasse nel Golfo disteso tra Posillipo ed il Vesuvio, e che da qui ogni primavera emergesse per salutare le genti che lo popolavano, allietandole con canti di gioia. Una volta la sua voce fu così melodiosa e soave che tutti gli abitanti ne rimasero affascinati e rapiti, accorsero verso il mare commossi dalla dolcezza del canto e delle parole d’amore che la sirena aveva loro dedicato e, per ringraziarla, sette fra le più belle fanciulle dei villaggi furono incaricate di consegnarle i doni della natura: la farina, la ricotta, le uova, il grano tenero, l'acqua di fiori d'arancio, le spezie e lo zucchero. La sirena depose le offerte ai piedi degli dei, questi riunirono e mescolarono con arti divine tutti gli ingredienti, trasformandoli nella prima Pastiera, che superava in dolcezza il canto della stessa sirena.
Da osservare che la Pastiera Napoletana è annoverata tra i Prodotti Agroalimentari Tradizionali Italiani (PAT)
Pastiera Napoletana

Pastiera Napoletana. Fonte: Wikipedia

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