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domenica 21 aprile 2024

Donne di Kapu

Matres matutae esposte presso il Museo Provinciale Campano di Capua. Fonte: Museo Provinciale Campano di Capua

Kapu - Racconti della Caduta era pronto già tempo prima che un editore lo trovasse adatto alla pubblicazione, e non è stato tempo trascorso oziosamente.
Dal momento che non vedeva ancora la luce, ho avuto modo di rifinirlo ancora, soprattutto perché il mio percorso di ricerca, sempre stimolato da Parthenope, continuava.
Non è il caso qui di approfondire le idee che mi sono formato sul nume di Neapolis, ma inevitabilmente sono dovuto tornare più volte a Kapu e riscrivere, esaltando figure e ruoli che in precedenza erano stati da me posti più in secondo piano, in particolare le donne.
Kapu resta una raccolta di racconti di guerra, che c'entrano le donne? Si chiederà qualcuno.
Fin dalle prime stesure, personaggi come Pacula Cluvia e Vestia Oppia erano nel volume, e d'altro canto le cita persino Tito Livio! E poi, sebbene non conosciamo il nome della moglie, sappiamo che l'eroe campano Kerrino Vibellio, il Taurea, era sposato e aveva figli! Le circostanze di questa notizia sono tristi, ma ne prendiamo atto. E ancora, chi impedì, e perché, e come, ai messaggeri numidi che avevano finto di aver disertato una Kapu ormai ridotta alla fame, di portare l'ultima richiesta di soccorso ad Annibale? Donne! Donne che ebbero il coraggio di fare quello che i capuani non fecero: andare a parlare personalmente col proconsole romano che le assediava!
C'è una sottile vena mistica in questo risvolto di Kapu. Avrei preferito lasciare ogni forma di prodigio fuori da questo volume, per accrescere il contrasto tra la narrazione di Neapolis, dove la presenza di Parthenope è così forte, e quella di Kapu, pero mi è stato impossibile: già il nome di Kerrino richiamava alla Demetra campana; poi abbiamo la narrazione del prodigio occorso alla madre di Seppio Loesio, l'ultimo, inutile meddiss di Kapu; e come trascurare la Mater Matuta, e infine Djana Tifatina? Non io, ma la fonti storiche stavano raccontando vicende di dee e di donne, parlando di un popolo rinomato per la sua abilità guerriera!
Posso immaginare ottime ragioni propagandistiche per giustificare una simile scelta da parte degli storici filo-romani, ma tendo a rispettare le fonti per quello che sono e a cercare piuttosto inconsistenze nella trama della loro narrazione. Se devo dubitare delle fonti, devo farlo con fatti alla mano, non per semplice partigianeria.
Inoltre, io conosco le qualità delle donne campane, e so fin dove possono arrivare! Leggevo i classici e ritrovavo la forza d'animo, la solidità incrollabile, che ho imparato a riconoscere. Quello che leggevo non mi era assolutamente estraneo!
Cercando di capire lo spirito di questo “femminismo campano”, ho preso a indagare meglio la cultura dei popoli italici prima dell'affermazione di Roma. Inutile ricordare l'importanza della donna nella società etrusca, ma molto meno è noto delle donne sannite, e moltissimo meno di quelle campane! Nondimeno, attraverso la religione e il culto, molto è passato persino attraverso le maglie della repressione romana. Senza voler scomodare l'assai posteriore ossessione di Augusto per il mos majorum (ma non voglio fare qui spoiler su uno dei motivi fondamentali del prossimo Neapolis), i romani non potevano vietare da un giorno all'altro a un intero popolo le sue credenze, per certi versi così simili alle proprie, così intrecciate alle proprie, e la Dea, le Dee, sopravvissero.
Questo cammino di ricerca l'ho affrontato, non mi sono del tutto chiare moltissime cose, ma a qualche conclusione sono finalmente giunto, e credo che dovremmo riscoprire cose che abbiamo dimenticato, perché molte delle brutture grandi e piccole che vediamo oggi derivano dall'aver annullato il ruolo del divino femminile, che esiste in ciascuno di noi.
Chissà che Kapu non possa apportare qualcosa in tal senso.

giovedì 21 maggio 2015

La Mater Matuta

Giacché nell'ultimo post ho abbordato alcuni aspetti della religione a Cartagine, questa settimana mi pare coerente proseguire sul tema parlando di una particolare divinità italica e campana: la Mater Matuta.
Viso di una mater matuta

Dettaglio di una mater matuta esposta presso il Museo Campano di Capua.

Poche divinità, credo, possono esemplificare meglio come la memoria umana sia labile, perché la mater matuta era tanto venerata al suo tempo quanto è misteriosa oggi.
Che fosse molto venerata ai tempi della Roma repubblicana lo sappiamo dall'enorme quantità di reperti diffusa in tutta la penisola italiana, e tutti raffiguranti lo stesso soggetto: una matrona seduta su di un trono, che regge in grembo, appoggiati alle braccia, diversi neonati in fasce.
Il soggetto è forse diffuso in tutt'Italia, ma per avere un'idea della profonda devozione che si nutriva per questa dea bisogna recarsi presso il Museo Archeologico Campano di Capua, che ha dedicato a questa figura ben cinque sale del suo spazio espositivo.

giovedì 14 maggio 2015

Quel "Baal" nel nome di Annibale

Busto di Annibale conservato al Museo Archeologico Nazionale di Napoli.

Questo è un post telefonato.
Qualche tempo fa ho ricevuto un'e-mail da un amico di vecchia data (ciao, Fabio!), nella quale mi chiedeva se, nel nuovo romanzo, avevo indagato l'aspetto religioso in Annibale e nei cartaginesi, e tutto ciò che ne deriva.
Ovviamente, la risposta è sì: come potevo dare personalità ai miei personaggi senza cercare di immedesimarmi in essi e valutare ogni aspetto delle loro vite? Ma siccome il romanzo non è un trattato di religione comparata, l'aspetto religioso può entrarci solo se il personaggio lo vive.
Nondimeno, il discorso è interessante per molti motivi, dunque ecco un post dedicato al sentimento religioso dei cartaginesi (e a Fabio, il mio amico, naturalmente).

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