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mercoledì 10 ottobre 2012

Il Passato di Un Illustre Neapolitano

È giunto il momento di tornare a parlare di un personaggio chiave del mio romanzo: quel tale Nymphios che viene citato di sfuggita da Tito Livio a proposito dell'assedio di Neapolis come “princeps civitatis” in Ab Urbe Condita, VIII, 25.
Avremo modo di tornare sul passo citato. Oggi voglio invece presentare un passo di Plutarco nel quale fa la sua comparsa un tale Nypsios, neapolitano, esperto uomo d'armi. Penserete che un personaggio non abbia nulla a che vedere con l'altro, a parte un'evidente somiglianza del nome ed il fatto di essere entrambi neapolitani.
Per quanto suggestiva, anch'io non mi sarei spinto oltre il notare la somiglianza, senonché in The Cambridge Ancient History, Volume 6, ed. D.M. Lewis, John Boardman, Simon Hornblower, M. Ostwald si trova che
[…] forse gli Osci di Neapolis non erano così diversi nel 326/7, quando udiamo di un leader Neapolitano dal nome probabilmente Osco di Nymphius (cfr. Nypsius il generale Neapolitano di Dionysius II, Diod., XVI, 18.1). […]
Di nuovo, si trova in Ancient Italy; historical and geographical investigations in Central Italy, Magna Graecia, Sicily, and Sardinia, di E. Pais, che:
[…] È stata anche sollevata la questione se Nymphius, padre di Paquius, ed uno dei due generali Neapolitani dell'iscrizione, possa essere identificato con il famoso Neapolitano Nypsius, un generale di Dionysius II (vd. Diod. XVI 18-20). Sembra impossibile provare alcunché al riguardo, dal momento che il nome “Nypsius”, che parrebbe essere lo stesso del Nymphios che era pretore nel 326, appare in altre iscrizioni provenienti da Neapolis (e.g., Kaibel, No. 726) ed anche da Capua (CIL, X, 4251). Questo nome potrebbe essere stato abbastanza comune a Neapolis ed in Campania.
[…]
Ma è M. Sardi, nel suo Cospirazioni E Congiure Nel Mondo Antico, a spingersi più in là di tutti:
[…] Ninfio sembra l'ellenizzazione del nome osco Nypsio. […] Ci si può forse domandare se si tratti di quello stesso Nypsio di Napoli che nel 356 era intervenuto a favore di Dionigi II contro Dione, a Siracusa (Diod. XVI 18,1). […]
Giungiamo infine ad A. La Regina, per il quale in “Sanniti e Greci nel IV sec. a.C. - La leggenda delle origini spartane”, la questione sembra essere ben chiara:
[…]
Nella stessa epoca in cui Gaio Ponzio era a Taranto nella cerchia di Archita, si affermava a Napoli un altro personaggio di origine sannitica, che conosciamo tramite Diodoro Siculo e Plutarco con il nome di Nypsios. Era questi un comandante celebre per valore e per sagacitá (sic!) strategica che nel 356 a.C. condusse, a Siracusa, la guerra contro Dione per conto di Dionisio, a capo di un contingente di mercenari. […] È inoltre molto probabile, anche se non certo, che uno dei magistrati napoletani che nel 326 avevano consegnato Napoli ai Romani per espellere i seimila soldati sanniti e nolani […] avesse il nome osco di Nympsius, piuttosto che quello greco di Nymphius, riportato da Livio. Anzi, nulla impedisce di pensare che questi fosse il medesimo comandante che aveva operato a Siracusa trent'anni prima. In entrambe le situazioni, infatti, il personaggio si dimostra capace di risolvere favorevolmente, con ingegno, situazioni militari disperate.[…]
Non mancano altri esempi. Il succo della questione è che a più d'uno storico di mestiere l'assonanza dei nomi ed il fatto di aver assunto una posizione di rilievo a Neapolis hanno fatto sorgere la domanda se Nypsios e Nymphios non fossero la stessa persona. Era francamente troppo perché io pensassi il contrario.
Ma allora, chi era questo Nypsios citato da Diodoro Siculo? Qual era la sua storia? Oggi sentiremo la versione che ce ne dà Plutarco, nel suo Dione, 41, 44 e 51. È una storia crudele, a tratti raccapricciante, e legata ad una delle città più potenti dell'epoca: quella Siracusa contro la quale si era infranto l'espansionismo ateniese.
All'incirca in quel tempo Dionysius mandò una flotta sotto il comando di Nypsius il Neapolitano con provviste e la paga per la guarnigione nella cittadella. I Siracusani lo sconfissero e catturarono quattro delle sue navi, ma fecero un cattivo uso del loro successo. Privi di ogni disciplina, celebrarono la vittoria con le stravaganze più sediziose e, nel momento in cui credevano di essere certi di prendere la cittadella, persero la città. Nypsius, osservando i loro disordini, i loro festini notturni e dissolutezze nelle quali i loro comandanti o per inclinazione o per paura di offenderli erano tanto impegnati tanto quanto i loro sottoposti, approfittò di quest'opportunità, irruppe nelle loro mura ed espose la città alla violenza ed alla depredazione dei suoi soldati.
I Siracusani compresero immediatamente la loro follia e sventura ma dalla seconda, nel loro attuale stato di confusione, non era facile redimersi. I soldati devastarono orribilmente la città, demolirono le fortificazioni, passarono gli uomini a fil di spada e trascinarono le donne ed i bambini urlanti nella cittadella. Gli ufficiali Siracusani, incapaci di separare i cittadini dai nemici o di ritirarli in qualunque ordine, li diedero tutti per perduti. […]
I soldati di Dionysius, dopo aver saccheggiato la città durante tutto il giorno, si ritirarono la notte con la perdita di pochi uomini dentro la cittadella. Questa piccola tregua incoraggiò ancora un avolta i demagoghi della città i quali, presumendo che il nemico non avrebbe ripetuto le sue ostilità, dissuasero il popolo dall'accogliere Dione ed i suoi soldati stranieri. Li convinsero di non lasciare l'onore di salvare la città a estranei ma di difendere da soli la loro libertà. Al che i generali mandarono altri messaggeri a Dione per arrestare la sua marcia, mentre dall'altro lato la cavalleria e molti dei cittadini più importanti mandarono la loro richiesta che egli l'accelerasse. Così, invitato da un partito e rifiutato da un altro, egli procedette ma lentamente e la sera la fazione che l'opponeva pose una guardia alle porte per prevenire il suo ingresso.
Nypsius ora fece una nuova sortita dalla cittadella con numeri e furia ancora più grandi che in precedenza. Dopo aver demolito totalmente la parte rimanente della fortificazione, si dedicò a saccheggiare la città. La mattanza fu terribile: uomini, donne e bambini caddero indiscriminatamente sotto la spada perché l'obiettivo del nemico non era tanto il saccheggio quanto la distruzione. Dyonisius disperava di riconquistare il suo impero perduto e nel suo odio mortale per i Siracusani aveva deciso di seppellirli sotto le rovine della loro città. Si era pertanto stabilito che prima che i soccorsi di Dione potessero arrivare, essi l'avrebbero distrutta nel modo più rapido lasciandola in cenere. Di conseguenza diedero fuoco a quelle parti che erano prossime mediante tizzoni e torce ed alle parti più lontane scagliando frecce infuocate. I cittadini, al massimo della costernazione, fuggivano ovunque dinanzi a loro. Quelli che per evitare il fuoco erano scappati dalle loro case vennero passati a fil di spada per le strade, e quelli che cercarono rifugio nelle loro case vennero nuovamente spinti fuori dalle fiamme, molti arsero vivi e molti perirono sotto le rovine delle case.
[…] Grazie alla solerte e vigorosa velocità dei soldati, Dione arrivò rapidamente alla città e, entrando dalla parte chiamata Hecatompedon, ordinò alle sue truppe leggere di caricare immediatamente il nemico, affinché i Siracusani potessero incoraggiarsi alla loro vista. Nel frattempo raccolse la sua fanteria pesante con quei cittadini che si erano uniti a lui e li divise in tanti piccoli corpi più profondi che larghi, in modo da intimidire il nemico attaccandolo in diversi quartieri allo stesso tempo. Avanzò per lo scontro alla testa dei suoi uomini, in mezzo ad un rumore confuso di grida, acclamazioni, preghiere e benedizioni che i Siracusani offrivano al loro liberatore, la loro divinità tutelare, perché così lo chiamavano ora, ed i suoi soldati stranieri li chiamavano consanguinei e concittadini. In quel momento forse non c'era nessuno sciagurato così egoisticamente attaccato alla vita che non tenesse la sicurezza di Dione più cara della propria o quella di tutti i suoi compatrioti, mentre lo videro avanzare in prima linea di fronte al pericolo attraverso il sangue ed il fuoco e sui cumuli dei cadaveri.
C'era certamente qualcosa di terribile nel volto del nemico che, animato da furia e disperazione si era appostato tra le rovine dei bastioni, sicché era estremamente pericoloso e difficile avvicinarglisi. Ma le preoccupazioni del loro signore per lo più trattennero gli uomini di Dione, e li aveva stancati durante la marcia. Essi erano circondati da fiamme che infuriavano da ogni parte, e mentre camminavano su rovine brucianti tra nuvole di cenere e fumo, essi erano in ogni momento in pericolo di essere sepolti dalla caduta di edifici mezzo consumati. In tutte queste difficoltà essi presero mille precauzioni per rimanere insieme e mantenere i ranghi. Quando giunsero sul nemico, solo pochi potevano combattere a causa dell'angustia e dei dislivelli nel terreno. Combatterono comunque con gran coraggio e, incoraggiati dalle acclamazioni dei cittadini, alla lunga volsero in rotta Nypsius e la maggior parte dei suoi uomini scapparono nella cittadella che era nei pressi. Quelli tra loro che erano dispersi e non riuscirono ad entrare furono inseguiti e spacciati. L'attuale deplorevole stato della città non permetteva né il tempo né il modo di dedicarsi a quella gioia e quelle congratulazioni che normalmente seguono la vittoria. Tutti erano occupati a mettere in salvo i resti della battaglia e, sebbene lavorassero duro per tutta la notte, fu con gran difficoltà che il fuoco fu estinto.
[…] Allo stesso tempo continuarono l'assedio e circondarono la cittadella con un altro muro. Giacché gli assediati erano stati tagliati fuori da ulteriori rifornimenti, quando gli approvigionamenti vennero a mancare i soldati cominciarono ad ammutinarsi, sicché Apollocrates si trovò in bisogno di venire a patti con Dione ed offrí di restituirgli la cittadella con tutte le armi ed i beni a condizione di ricevere cinque galee e gli permettesse di ritirarsi in sicurezza con sua madre e le sorelle. Dione accettò la sua richiesta e con essa egli salpò alla volta di Dionysius. Non aveva neanche salpato che l'intera città di Siracusa si riunì per assistere alla gioiosa vista (della sua partenza). I loro cuori erano così pieni di quest'evento importante che essi espressero la loro rabbia contro coloro che non erano presenti e non potevano testimoniare con che gloria il divertimento sorse quel giorno su Siracusa finalmente liberata dalle catene della schiavitù. Giacché questa fuga di Dionysius è stata uno dei rovesci di fortuna più memorabili che si siano registrati nella storia, e giacché nessuna tirannia fu mai stabilita in maniera più efficace della sua, quanto grande deve essere stata la loro gioia ed il loro auto-compiacimento dopo che essi l'avevano distrutta mediante mezzi così trascurabili.

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