È una terra buona e bella, sulla quale è stata cresciuta nelle peggiori condizioni di allevamento la belva più feroce: l'uomo.
Non è assolutamente mia intenzione ammansire i miei conterranei: la loro energia, la loro vitalità, le loro risorse sono a mio parere male indirizzate dal sopruso e dall'arroganza di chi lascia loro un solo modo per vivere: il malvivere.
Non sto per cominciare l'ennesimo pistolotto assistenzialista, al contrario! La Campania non ha bisogno di assistenzialismo, magari di assistenza per rimettersi in piedi, ma non di assistenzialismo: essa ha tutto ciò che serve per rendere ricca e felice la propria gente, anzi ha fin troppo!
È sempre stato così. Certo, oggi i cumuli di immondizia (materiale e umana) deturpano il paesaggio all'occhio del visitatore e dello straniero, ma questa è una patina recente, assai dannosa forse, e che costerà anni e sforzo a togliere. Ma lo sforzo credo sembrerà più leggero, più accettabile se abbiamo sotto gli occhi non il territorio devastato di oggi, ma quello che la Natura ci ha affidato.
Cerchiamo di capire allora quanto questo territorio fosse incomparabilmente ricco nel suo stato naturale e facciamocelo raccontare dalla storia. Oggi riporterò un passo di Dionigi d'Alicarnasso, “Antichità Romane” XV, 3: era un territorio talmente bello da far perdere la testa.
Quando Quinto Servilio (per la terza volta) e Gaius Marcius Rutilus erano consoli, Roma fu coinvolta in pericoli gravi e inaspettati a causa dei quali, se essi non fossero stati dissipati da qualche divina provvidenza, uno dei due mali l'avrebbe colpito - o di avere avuto un nome vergognoso per aver ucciso i suoi anfitrioni, o di aver macchiato le mani con lo spargimento di sangue tra i civili. Come incorse in questi pericoli cercherò di raccontarlo brevemente dopo aver ricordato alcuni degli eventi che precedettero.
L'anno precedente Roma, dopo avere intrapreso la guerra sannitica a favore di tutta la Campania e sconfitto i suoi avversari in tre battaglie, aveva voluto portare a casa tutta la sua forza, sentendo che non c'era più pericolo per quelle città. Ma quando i Campani supplicarono i Romani di non abbandonarli e lasciarli privi di alleati, dichiarando che i Sanniti li avrebbero attaccati se non avessero avuto assistenza dall'esterno, si decretò che il console Marco Valerio, che aveva liberato le loro città dalla guerra, avrebbe dovuto lasciare un esercito in quelle città tanto grande quanto esse avrebbero voluto sostenere.
Avendo ricevuto quest'autorità, il console trattò secondo la legge tutti coloro che avessero voluto ricevere razioni ed essere pagati per il servizio di guarnigione; la maggior parte di questi era costituito da uomini senza fissa dimora gravati di debiti, che erano contenti di sfuggire alla povertà e all'oscura vita di casa.
I Campani, prendendo questi uomini nelle loro case, li accolsero con tavoli sontuosi e li intrattennero con tutti gli altri marchi di ospitalità. Perché il modo di vita dei Campani è alquanto stravagante e lussuoso ora, e lo era allora, e lo sarà per tutti i tempi a venire, dal momento che abitano in una pianura ricca tanto di colture e greggi ed è assai salubre per gli uomini che coltivano la terra.
In un primo momento, di conseguenza, la guarnigione accettò volentieri l'ospitalità di queste persone, poi, mentre le loro anime venivano corrotte dall'eccesso di cose buone, poco a poco si lasciarono andare a pensieri malvagi, e osservavano quando si incontravano che avrebbero fatto la parte degli stupidi, se avessero lasciato tale grande fortuna alle spalle e fossero tornati alla loro vita a Roma, dove la terra era miserabile e c'erano numerose tasse di guerra, dove non c'era tregua da guerre e mali, e le ricompense per i disagi subiti da parte di tutti in comune erano a disposizione di pochi.
Coloro che avevano nient'altro che un vivere insicuro e mancavano di sussistenza giornaliera, e ancora di più quelli che erano incapaci di estinguere i loro debiti con i loro creditori e avevano dichiarato che il loro stato di necessità era un consigliere in grado di informarli dei loro interessi senza preoccuparsi dalla retta via, dissero che anche se tutte le leggi ed i magistrati li avessero minacciati con le più atroci pene, non avrebbero più lasciato ai Campani il loro attuale stato di buona sorte; e infine giunsero a un tale stato di follia che ebbero il coraggio di parlare in questo modo:
«Che terribile crimine, infatti, staremmo commettendo se espellessimo i Campani ed occupassimo le loro città? Perché questi stessi uomini non hanno acquistato in modo giusto il terreno che hanno occupato tempo addietro, ma dopo aver goduto l'ospitalità dei Tirreni (gli Etruschi) che l'abitavano, uccisero tutti gli uomini e presero le loro mogli, le loro case, le loro città e la loro terra, per la quale valeva bene la pena lottare, sicché giustamente subiranno ciò che possano soffrire, avendo essi stessi iniziato il trattamento illegale di altri.
«Cosa, allora, ci sarà che ci impedisca che godiamo di queste benedizioni per tutti i tempi a venire? In ogni caso, i Sanniti, i Sidicini, gli Ausoni e tutti i popoli vicini, lungi dal marciare contro di noi per vendicare i Campani, crederanno che sia sufficiente per loro se consentiamo a ciascuno di loro di mantenere i loro possedimenti.
«E i Romani, forse accetteranno la nostra azione come una vera e propria risposta alla preghiera, ambiziosi come sono di governare tutta l'Italia mediante le loro colonie; ma se fanno finta di essere afflitti e ci giudicano nemici, non ci faranno tanto danno quanto ne riceveranno dalle nostre mani. Perché devasteremo il loro territorio quanto ci pare, libereremo i prigionieri sulle tenute di campagna, libereremo gli schiavi, e ci metteremo dalla parte dei loro acerrimi nemici, i Volsci, Sanniti e Tirreni, così come con i Latini che sono ancora esitanti nella loro fedeltà. Per uomini guidati da dura necessità e che corrono la gara suprema per la loro vita nulla è o impossibile o in grado di resistere loro.»
[…]
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