Livio è la nostra principale fonte per corroborare quest'immagine di due nuclei urbani separati. Ne troviamo la testimonianza nel suo Ab Urbe Condita quando, nel già citato libro VIII, passo 22, dichiara:
[…] C'era una città chiamata Palaepolis, non lontana dal punto in cui è ora Neapolis, e le due città erano abitate da un solo popolo.[…]E più oltre, al passo 25, leggiamo:
[…] mentre questa guerra (quella contro i Sanniti) stava cominciando così felicemente, l'altra, contro i Greci, era a punto di concludersi bene, perché non solo una parte degli assediati era tagliata dal resto dalle trincee dei Romani […]quindi Livio sostiene ancora una volta l'idea di parti della stessa città fisicamente separate.
Sembra solo un'osservazione bizzarra, invece il lavoro di studiosi ed archeologi ci ha permesso di verificare ancora una volta (come già accadde a Schliemann per la sua Troia) che gli storici dell'antichità non peccavano certo di rigorosità quando affrontavano il loro lavoro.
Possiamo cominciare col Beloch che, nel suo Campanien scrive:
[…] Tuttavia una Palaepolis a Napoli è comunque esistita, e cioè l'antico insediamento fenicio a Castel dell'Ovo, il quale fu più tardi ellenizzato dai Capresi e dai Rodî. A questa località è rimasto ancora per secoli il nome fenicio di Megalia o Macharis; qui si trovava il porto, qui si ergeva il tempio di Afrodite Euploia e probabilmente il tumulo della sirena Parthenope; qui, infine, il colle di Pizzofalcone con il suo dirupo sul mare offre un'eccellente difesa per una città di piccola estensione. […]Immediatamente dopo fu il Capasso a presentare una possibile ricostruzione dell'antica Neapolis che oggi, dopo i recenti lavori per la metropolitana, lascia interdetti per la straordinaria rispondenza alla realtà dell'epoca. Quella appena raffigurata è una cartina pubblicata nell'opera dell'illustre napoletano Napoli Greco-Romana, nella quale si riconosce il piccolo bacino di un porto antico e, più a sud, un nuovo porto.
Il Capasso aveva già scritto un Napoli e Palepoli nel 1855, e nella sua opera più nota ancora riprende la tradizione di Dionigi d'Alicarnasso e di Livio quando descrive il bellum Paleopolitanum, segno evidente di una sua aderenza a questo racconto.
Ma è infine Mario Napoli, nel 1979, a dare sistemazione critica alla città, corroborando minuziosamente le sue tesi con solide prove archeologiche.
Nell'immagine appena illustrata, che rappresenta la Neapolis del V sec. a.C, sono evidenziate le diverse fasi di espansione del nuovo nucleo della città e la sua posizione rispetto al porto.
Già nelle prime pagine del suo libro, il Napoli cita esplicitamente il ritrovamento della necropoli tra Pizzofalcone ed il Vomero, il valore ponderale della prima monetazione napoletana, ed infine le tracce archeologiche Cumane, ben datate, ancora su Pizzofalcone, per delineare a grandi tratti la storia della più antica Parthenope e così collocarla nella giusta relazione con Neapolis.
Neapolis, è oggi testimoniato ancora una volta dagli scavi per la metropolitana con precisione inappuntabile, era sì divisa in due nuclei urbani: uno più antico su Pizzofalcone, il cui nome doveva essere stato in un primo momento Phaleron per poi essere cambiato in Parthenope, ed uno più moderno, ad oriente di quello, fondato dai Cumani con l'aiuto dei Siracusani e poi esteso dagli Ateniesi, battezzato Neapolis.
Ma perché spendere un post intero su di un dettaglio ormai chiarito? Perché, sebbene la conformazione di Neapolis all'epoca sia ormai ben nota e chiara, le conseguenze di ciò non sono state del tutto tenute in considerazione quando storici e commentatori hanno cercato di ricostruire gli eventi legati all'assedio romano del 326 a.C.
In un altro post illustrerò queste incongruenze, e potremo così entrare nel vivo della ricostruzione proposta nel mio romanzo.
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