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mercoledì 15 luglio 2015

Gli Ozi di Capua: dopo Capua

La settimana scorsa abbiamo cominciato col mettere in dubbio le parole di Livio a proposito dei famosi Ozi di Capua, e abbiamo trovato nelle pagine dello stesso autore episodi che ci parlano di un Annibale incapace di prendere con le sole armi cittadine di modesta entità anche prima della sua permanenza a Capua. In questo post cercheremo di vedere cosa accadde dopo i famigerati Ozi.
Quando il tempo si fece più mite, Annibale guidò il suo esercito fuori dei quartieri d'inverno e marciò nuovamente su Casilinum.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 19]

Quanto tempo fu necessario per prendere il presidio dei Prenestini? A Livio piace intrattenersi a lungo sull'episodio ma, dopo aver fatto cadere la città per fame, distrae il lettore con eventi di ogni tipo: le elezioni dei nuovi consoli a Roma, il loro insediamento, la minaccia di Asdrubale dal'Iberia, Siracusa, il trattato (firmato nei pressi di Capua ma poi sfumato) tra Annibale e Filippo di Macedonia, le iniziative belliche dei Campani delle quali abbiamo già detto in questo post… Tutto ciò, prima che termini l'estate. Possiamo dunque affermare che, per quel che riguarda Casilinum, non ravvisiamo elementi che indichino un tracollo del valore cartaginese.
Un dettaglio interessante sfugge però a Livio, quando racconta dei Campani che, dopo la tentata imboscata a danno dei Cumani presso Hamae, corrono a chiamare Annibale:
Dopo essersi impossessato dell'accampamento nemico (dei Campani) avendo perso meno di cento uomini, Gracco si ritirò velocemente, temendo un attacco di Annibale che aveva il suo accampamento presso il Tifata, su Capua.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 36]

Per chi conosce l'attuale Santa Maria Capua Vetere, questa è finalmente la prima cosa sensata detta da Livio a proposito dell'accampamento di Annibale, che certamente non fu dentro Capua per un'evidente questione strategica: dalle pendici del Tifata che dominavano Capua, il Cartaginese aveva una vista che spaziava indisturbata da Sinuessa (attuale Mondragone) fino a Nola, ostacolata solo dal Vesuvio, e in mare fino a Napoli e alle isole del Golfo. Per convincervene, vi rimando alla cartina pubblicata nello scorso post.
Avrebbe un generale tanto capace e attento come Annibale lasciato fraternizzare i suoi uomini coi Capuani? La cosa era certamente inevitabile, a lungo termine, ma non c'è dubbio che, oltre all'accampamento posto accanto a Casilinum per continuare a pressare i Prenestini, un altro, il maggiore, fosse posto sul Tifata, altro che Ozi!
Ma è sbagliato raccogliere un solo dettaglio e usarlo per tesservi tutta una tesi, quindi continuiamo la nostra analisi in maniera ragionata.
Quando (Annibale) giunse ad Hamae, trovò l'accampamento (campano) abbandonato, non si vedeva nient'altro che le tracce del recente massacro e i corpi dei suoi alleati che giacevano dappertutto. Alcuni gli consigliarono di marciare direttamente su Cuma e attaccare il posto.
Niente l'avrebbe reso più felice, dopo il fallimento di prendere Napoli, era molto ansioso di impossessarsi di Cuma per controllare una città marittima per ogni evenienza.
Ma siccome i suoi soldati a causa della marcia improvvisa non avevano portato con sé nient'altro che le loro armi, tornò al suo accampamento sul Tifata.
Il giorno dopo, ascoltando le richieste dei Campani, tornò a Cuma con tutte le macchine necessarie per attaccare la città e, dopo averne devastato i dintorni, pose il suo campo alla distanza di un miglio dal luogo.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 36]

Anche l'assedio di Cuma non riuscì: Gracco riuscì a ricacciare Annibale e richiamò i suoi uomini prima che lo scontro diventasse battaglia campale, e qui si dimostra che finalmente anche i Romani hanno capito il gioco di Annibale.
Il giorno dopo, Annibale, aspettandosi che il console, imbaldanzito per il suo successo, si sarebbe preparato a combattere una battaglia campale, formò il suo schieramento tra il proprio accampamento e la città. Quando però vide che neanche un uomo si muoveva dal suo posto di difesa e che non si assumevano rischi dovuti a troppa fiducia, tornò al Tifata con un nulla di fatto.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 37]

Annibale sapeva dunque benissimo qual era il tipo di scontro che lo avvantaggiava, quello campale, e dal canto suo anche il console romano aveva capito che le mura di Cuma erano sufficienti a scongiurare alzate di testa del Cartaginese. Ciascuno dei due quindi voleva che l'avversario facesse il primo passo… falso!
Più tardi, richiamato dagli alleati sanniti e irpini, Annibale va ad assediare Nola ancora una volta, nella quale è rinchiuso Marcello col suo esercito. Né un tentativo di corruzione, né un attacco di sorpresa, né una battaglia fuori le porte della città riescono però a consegnare Nola al Cartaginese, che è costretto a desistere.
D'altro canto, dedicandosi alla gestione del territorio, a ricevere la resa di molte città assoggettate dai suoi comandanti nei Bruttii, l'attività bellica di Annibale è molto ridotta, mentre i Romani prevengono ogni sua mossa e sono loro, ora, a provocarne l'azione.
Nè, d'altro canto, i Romani pensano che Annibale sia una minaccia svanita, e ce lo racconta ancora una volta Livio, quando riporta le parole di Quinto Fabio Massimo durante l'elezione dei consoli per il 214. Fabio, scontento per il risultato dell'elezione della prima centuria, arringa così i Romani:
in questa guerra, scontrandoci con questo nemico, nessuno dei nostri generali ha mai commesso un solo errore che non abbia comportato per noi un gravissimo disastro.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIV, 8]

Scusa, Livio, ma non era schiavo delle donnacce capuane, l'esercito di Annibale?
Quell'anno Annibale tentò di prendere Puteolis, che era stata fortificata solo l'anno prima da Quinto Fabio Massimo, aggredì nuovamente Neapolis, senza molta speranza di prenderla, e fu tentato a riprovare con Nola, nella quale non riponeva più alcuna fiducia. Dopo l'ennesimo scontro campale con Marcello, Annibale decise di dirigersi verso Tarentum, che però tradì le sue aspettative e non gli aprì le porte.
Mentre Annibale era tanto lontano, Quinto Fabio Massimo ci dà una fantastica opportunità di misurare quanto fosse stato davvero difficile per il Cartaginese tentare la presa delle città che abbiamo visto: trovandosi nei pressi di Casilinum, volle riprendere la città e per l'uopo chiamò anche Marcello a dargli manforte. Dunque notate: due eserciti consolari contro l'obiettivo finalmente espugnato da Annibale. L'assedio si fece però arduo, al punto che
Fabio pensò che l'impresa, che era di poca importanza sebbene quasi difficile quanto altre di maggior importanza, avrebbe dovuto essere abbandonata.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIV, 19]

Chi è, ora, il rammollito? Due consoli disperarono di prendere un obiettivo che Annibale da solo riuscì finalmente ad espugnare, e dopo i famigerati Ozi!
Nondimeno, intensificando gli sforzi e costringendo la popolazione alla resa (nonché facendo finta di non aver capito che c'era una tregua in atto…) Marcello riesce a infilarsi nella città e a prenderla. Non molto elegante, ma efficace.
La peggior colpa per uno storico è la partigianeria, e Livio non perde occasione per peccare. Di quell'estate nei pressi di Tarentum, ci dice che
Annibale trascore tutta l'estate in territorio Sallentino con la speranza di prendere la città di Tarentum mediante un tradimento, e mentre era lì alcune città di nessun'importanza si unirono a lui.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXV, 1]

Fossero davvero state di nessun'importanza, non sarebbe stato neanche necessario citarle… Per l'anno seguente, giacché la minaccia di Annibale era diventata di minore assillo,
Due legioni furono affidate a ciascun console per le operazioni contro Annibale.

[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXV, 3]

Ancora una volta, i migliori eserciti romani, rinsaldati nel numero, guidati dai loro migliori generali, vengono mandati ad affrontare una minaccia che, a questo punto è chiaro, solo la propaganda può definire sfumata. Infatti, Annibale ne diede prova durante la presa di Tarentum. In una sola notte (la seconda metà della notte, a esser pignoli), lui e diecimila uomini marciarono in silenzio per quindici miglia, giunsero alla città e la presero. Obbedienza al generale, resistenza alla fatica, capacità di eseguire gli ordini con precisione, ovvero tutte quelle caratteristiche che un esercito rotto nel morale non possiede più.
Finalmente, quando i Romani cominciano l'assedio di Capua con due eserciti consolari, l'arrivo di Annibale costringe i consoli dapprima ad una ritirata e poi, ripreso l'assedio, a costruire una grande palizzata difensiva intorno ai loro tre eserciti (dal momento che allo sforzo dei consoli si unisce quello di un pretore).
Insomma, nelle parole dello stesso Livio abbiamo tutti gli indizi per valutare inconsistente l'episodio degli Ozi di Capua.
Ma abbiamo anche un altro autore che ha scritto del conflitto, e in maniera indipendente. Se citassi Appiano, o Aulo Gellio, o Silio Italico, questi si rifarebbero alla tradizione di Livio, che era legato al clan degli Scipioni.
L'autore che leggeremo nel prossimo post, invece, integrò le sue fonti con altro materiale, forse di prima mano, e scritto da un altro punto di vista.

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