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sabato 12 dicembre 2020

Con-versi-amo

Pubblico con entusiasmo la copertina di Neapolis - I Signori dei Cavalli! È un po' come vedere il viso di una persona della quale ho fino a ora solo sentito parlare, che finalmente incontro. Con queste due immagini, l'una reale, l'altra metaforica, apro un post dedicato alla poesia contenuta ne Il Signore dei Cavalli. Ripercorrerò con esempi come sono giunto ad apprezzare la presenza della poesia in un'opera letteraria. Il gioco di parole nel titolo, “con-versi-amo”, è infatti sia un invito a voi lettori a dialogare, sia il messaggio “mi piace quando c'è poesia”.
Sebbene abbia sempre trovato diletto nella lettura (e nella scrittura), il mio rapporto con la poesia è stato ambiguo per un certo tempo. Come molti degli interessi che nutro e delle opinini che esprimo, anche nel caso della poesia il mio distacco era dovuto a un'idea “alta” della stessa, e siccome c'è già tanto inutile ciarpame in giro, non volevo aggiungerne altro del mio. Dal momento che la poesia è una forma d'arte, o va usata per creare alcunché di bello, piacevole, godibile e, soprattutto, capace di trasmettere queste qualità, o trovo più dignitoso astenermi dal ricorrere a essa per darmi un'aria vuota di contenuti. Nondimeno, la scrittura di Neapolis - I Signori dei Cavalli ha imposto la presenza di versi, per una serie di motivi.
Il primo e fondamentale è la rappresentazione di personaggi dell'epoca. Non pretendo di essere riuscito a dare un'immagine totalmente fedele del modo di vivere in una polis greca nel III sec. a.C., ma credo ache che forzare troppo su questo punto andrebbe a discapito della lettura: se miro a diffondere un messaggio, questo deve poter essere leggibile, e molte cose sono cambiate in ventitré secoli di storia. Una ricostruzione dei modi di vivere esasperatamente dettagliata sarebbe non solo improba, ma anche scarsamente godibile.
Ciononostante, ho potuto far presa su quei caratteri che sono o ben noti o meglio, a ulteriore supporto della continuità culturale di Neapolis, si sono conservati. L'uso dell'espressione poetica, sia essa semplicemente verbale o accompagnata da musica, è uno di questi caratteri.
In Neapolis - I Signori dei Cavalli i momenti dedicati all'espressione poetica sono diversi, e hanno diversi propositi. La vicenda stessa viene introdotta mediante una serie di versi. Oltre che un esplicito omaggio all'Iliade, queste righe sono un'autentica preghiera a Parthenope affinché lei, figlia di una Musa, mi fornisca le qualità necessarie per narrare la storia conformemente al suo gusto. In questi versi cito alcuni dei temi toccati nel romanzo e altri che fanno da sfondo a tutta la mia iniziativa letteraria, chiedendo così la protezione della Sirena sul mio testo. Segue un breve estratto:
Cantami, o Diva
della terra per la quale i mortali tanto contendono.
Parlami del ricetto mortale che hai eletto a tua dimora,
a tuo rifugio dall’immortalità immota.
Narrami le sue glorie e le sue disgrazie
perché da solo non comprendo
come può terra sì bella, sì ferace, sì ricca
di tutto ciò che gli uomini, e forse gli Dei,
possono desiderare,
esser piagata, prostrata da tanti mali.
In questo caso la poesia è un espediente usato anche per far calare rapidamente il lettore nello spirito e nel tempo dell'opera, per stabilire una comune chiave di lettura, per accennare alle vicende che saranno narrate come nel prologo di un'opera teatrale.
In altri momenti l'uso della poesia è più impegnativo, e realmente richiesto dalla vicenda perché è storicamente attestato che i personaggi in un determinato momento si sarebbero espressi in versi. Dopo i tanti post fin qui pubblicati che spiegano alcuni dei momenti più salienti de I Signori dei Cavalli, è noto che durante il bellum hannibalicum Neapolis mandò propri uomini alla battaglia di Canne. Ricordando l'usanza di Annibale di rimandare a casa i prigionieri presi in battaglia che non fossero romani, e considerata la reazione di Hegeas, è lecito pensare che nemmeno un neapolitano si sia salvato a Canne.
Ci saranno state esequie pubbliche per commemorare i caduti, nel corso delle quali saranno stati declamati versi. Non intendo aggiungere ulteriori dettagli che farebbero perdere al lettore il gusto del viaggio di scoperta nella Neapolis di quel tempo, osservo solo che sarebbe stato ovvio il richiamo del poeta incaricato dell'opera al più grande e mitico conflitto che le genti greche annoverassero nella loro letteratura. Il richiamo e persino il confronto iperbolico, come in questo breve estratto.
Gli éroi che preser di Dàrdano le rive
la sete di preda ne fece un solo corpo.
Elleni e
safineis, di bianco, indaco e azzurro,
amici fraterni fuor prima di partire,
lor sangue si mesce sul lugubre pianoro
dov’essi giostraron con Morte il tristo giorno.
In queste righe, i caduti a Canne sono resi più nobili degli Achei a Troia: mentre quelli erano uniti solo dalla brama di bottino, i neapolitani, pur appartenenti a popolazioni diverse (ricordiamo che all'epoca Neapolis era popolata da greci e sanniti), erano uniti da amicizia fraterna dovuta all'essere cresciuti nella stessa città fin dall'infanzia.
Si noti l'accento posto sulla prima sillaba di “eroi” e che cambia la pronuncia della parola. Questo piccolo elemento era un grande ostacolo per la mia espressione poetica, perché non siamo più abituati a leggere il metro delle poesie, ma solo il testo, e questo è davvero un enorme sbaglio!
L'espressione poetica ha una tradizione enormemente più antica della prosa, per ovvi motivi: quando la carta o il papiro non erano ancora stati inventati, era alla memoria che veniva affidato il tramandare la conoscenza di generazione in generazione. Ma la memoria umana è fallibile se lasciata a sé stessa, di qui l'uso di tecniche che ne migliorassero l'affidabilità, come il ricorso a un metro ritmico che costringesse l'oratore a forzare i versi in tempo e forma: il verso obbliga l'oratore a usare una parola e non un'altra perché un'altra parola non avrebbe lo stesso metro, ritmo, accento, numero di sillabe. In un certo senso, e come vedo fare istintivamente e giocando dai miei bambini ora che apprendono versi, le poesie andrebbero cantate per essere imparate. Se funzionano con un motivo musicale, vuol dire che sono state davvero comprese non solo in senso (ciò che comunicano le parole), ma anche in ritmo, che spesso è un ulteriore canale di comunicazione, persino più profondo! Infatti, un ritmo può comunicare immediatamente allegria o solennità, o tristezza, ed escludere la cura del ritmo dalla declamazione di un poema significa perdere una metà dell'opera.
È vero che molta espressione poetica è oggi affidata a versi che ritmo non hanno, il che si può comprendere perché non è più necessario tramandarli a memoria. Inoltre, tali poemi sono spesso intensamente focalizzati sul significato semantico dei vocaboli impiegati, al punto che l'applicazione di un metro impedirebbe l'uso di un vocabolo che è invece il punto nodale dell'intero componimento! Si tratta perciò di situazioni molto diverse tra loro e che vanno attentamente valutate prima di fare confronti. Possiamo solo essere grati ai primi uomini che seppero ideare questo mezzo espressivo così potente.
Un terzo estratto è di un componimento che oggi valuteremmo totalmente estemporaneo, e la sua presenza ha senso per una civiltà con parametri comunicativi diversi dalla nostra. In verità, a Napoli ancora si usa comunicare un concetto citando canzoni o poesie nel mezzo di un dialogo. La versione più breve di quest'uso è la più diffusa citazione di un proverbio, ma per molti napoletani è perfettamente normale canticchiare
E passa e spassa sotto a 'stu balcone
ma tu sì guaglione
col noto significato “per quanto tu possa insistere col tuo proposito, non hai le qualità per raggiungere l'obiettivo”.
Inventare versi all'impronta è più raro oggi, ma in un'epoca nella quale i certami poetici erano parte viva della cultura popolare, e i cittadini venivano istruiti alla retorica, un uomo avrebbe potuto sentire alle volte più naturale il ricorso all'espressione poetica. Così fa Hegeas mentre dialoga, e queste sono solo due strofe di come egli vede l'esistenza (il poema nella sua interezza lo chiamo Simili a frassino, quercia o ciliegio):
Ma giunge l’autunno, e cadon le foglie
che ci hanno donato riparo dal sole,
che ci han dato vita, e linfa, e colore,
ci son state amiche, compagne e maestre.
Ci lascian, strappate da un vento mai domo
che toglie ogni orpello e il tronco denuda.

Sì che per l’inverno sol’esso rimane
a dir nostra forza, bellezza o maestade,
a dir nostri vizi in quei rami contorti
che a un occhio fugace non possiam celare.
Simili a frassino, quercia o ciliegio
è giunto il momento fatal di cadere.
Un'altra serie di versi di tono assai più lieve che qui non pubblico la lascio pronunciare a Parthenope stessa: “L'Imeneo di Persephone”, che è un'altra dimostrazione di come il ritmo sia importante per un componimento di questo genere.
L'ultima strofa di questo post la voglio invece lasciare come un saluto all'eroe del romanzo. Sono poche righe che esprimono il mio disappunto per la scarsa rinomanza che questo personaggio ha, nonostante l'impresa tentata, e sono anche una specie di giustificazione di questa condizione. È mio pio desiderio che Neapolis - I Signori dei Cavalli possa rimediare.
Non ti crucciare, Hegeas, Signore dei cavalli,
se ‘l valor tuo l’eclissa sì brillante condottiero
perché come Anníbas furon pochi, e pochi ancor saranno
animati da un genio sì potente e battagliero.

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