una truppa di cavalleria venne loro (ai cartaginesi) incontro, che fu attratta dai Numidi in ritirata nell'imboscata e circondata.Non si creda che sia stato uno scontro dall'esito scontato: ho già avuto modo di spiegare la tattica di combattimento dei Numidi, che era arrivare a tiro, lanciare i giavellotti, e scappare.
Scappare dove? Verso il grosso delle forze! L'attacco dei Numidi era come il movimento di un polpo che allunga un tentacolo e poi, ritraendolo, si porta il cibo alla bocca.
Era la cavalleria neapolitana al corrente di una tattica del genere? Certamente, perché è una delle tattiche spiegate nel trattato sul Comandante della Cavalleria di Senofonte.
Se l'aspettava la cavalleria neapolitana l'uso di una tattica del genere da parte di Annibale? Altrettanto certamente! Annibale arriva a Neapolis quando ha già superato le Alpi in maniera prodigiosa (“rompendo le rocce al suo passaggio”), dopo aver sconfitto i Romani al Ticino, sul Trebbia, sul Trasimeno, e finalmente a Cannae! Arriva a Neapolis l'anno dopo aver devastatato in lungo e in largo l'Ager Falernus, dopo aver annichilito in un'altra imboscata modo Mancinus, l'ufficiale della cavalleria romana di Quinto Fabio Massimo, nei pressi di Cales. Detto altrimenti, la cavalleria neapolitana era perfettamente consapevole dei modi del proprio avversario ma, visto che il suo obiettivo, come già spiegato nello scorso post, era prendere tempo per coprire la fuga in città dei civili, si lasciò attrarre nell'imboscata.
Che la cavalleria neapolitana fosse perfettamente cosciente del pericolo che rappresentava sfidare annibale abbiamo però più che una semplice supposizione basata su criteri di plausibilità: in primis è Mario Napoli, in “Napoli greco-gomana”, a informarci di opere di irrobustimento delle mura di Neapolis al tempo della guerra punica, in particolare alle spalle del porto tra Neapolis propriamente detta e Parthenope su Pizzofalcone, quelle stesse mura che fecero desistere il cartaginese dall'assalto, come abbiamo già avuto modo di vedere. E poi ci sono le incongruenze nel racconto di Livio, che a questo punto espone un dettaglio che ci fa dubitare della sua comprensione dell'azione:
Non si sarebbe salvato un solo uomo se non fosse stato per la vicinanza del mare e per alcune imbarcazioni, per lo più da pesca, che essi videro non lungi dalla riva e che fornirono una via di fuga a coloro che erano buoni nuotatori.La “vicinanza del mare”? Sembra che Livio non fosse stato a Neapolis, per scrivere una cosa del genere! Ricapitoliamo: Annibale ha nascosto un'imboscata tra le strade profonde che vanno alla città, e queste strade sono a nord, nord-est della polis; la cavalleria neapolitana viene attratta nell'imboscata, ovvero va verso nord, ma alcuni uomini si salvano raggiungendo il mare, che è a sud della città, e distante almeno due kilometri dal luogo dell'imboscata!
Non solo: fuori Porta Capuana il terreno era generalmente paludoso (lo è ancora oggi che vi è stato realizzato il Centro Direzionale), e certamente i Numidi non si sarebbero accostati alle mura neapolitane per inseguire i fuggitivi, quindi secondo Livio questi cavalieri avrebbero affrontato la fuga sul terreno acquitrinoso che andava da Palazzo Fuga alla Via Marina, quindi si sarebbero gettati in acqua e avrebbero nuotato fino alle imbarcazioni dei pescatori che li avrebbero tratti in salvo…
Fu fuga? Se lo fu, non fu certo disordinata: è improbabile che i greci, la cui cavalleria era pesante, ovvero dotata di armatura, quindi dotata di forza d'impatto ma più lenta, riuscissero a fuggire verso il mare per oltre due kilometri su un terreno acquitrinoso, inseguiti dalla cavalleria leggera di lanciatori di giavellotto di Annibale: i Numidi sarebbero stati più veloci, non avrebbero nemmeno dovuto impegnarsi nel corpo a corpo, ma solo dardeggiare i greci da lontano.
Eppure, cavalieri giunsero alla riva, furono tratti in salvo dai pescatori, e presumibilmente non furono pochissimi, se Livio annota la cosa. Com'è possibile?
Presumo che Hegeas andò a sfidare apertamente i Numidi e a tenerli impegnati. Andò a fare con loro lo stesso gioco che essi erano soliti fare: una serie di avanzate e ritirate, proprio per impedire al nemico di far scattare la trappola. D'altronde, anche questo genere di azioni di disturbo è spiegato ne Il Comandante della Cavalleria.
E se l'obiettivo della reazione era prendere tempo per i civili, non avrebbe il comandante fatto lo stesso per i suoi uomini? Ecco come alcuni cavalieri riuscirono a portarsi in salvo, distanziando i Numidi: Hegeas rimase a coprire la fuga dei suoi. Non poteva essere da solo, ovviamente, quindi si era circondato dei suoi compagni più fidati, magari i veterani.
A quel punto, il comandante aveva concluso il suo compito: aveva protetto i civili, aveva assicurato la fuga a molti dei suoi, e certamente non avrebbe rischiato la sicurezza della polis tornando verso le mura, col nemico alle calcagna. Livio ne narra gli ultimi momenti in maniera asciutta:
Molti giovani nobili, comunque, furono presi o uccisi nello scontro, tra essi Hegeas, il comandante della cavalleria, che cadde mentre inseguiva troppo incautamente il nemico che si ritirava.Il nemico “si ritirava”? Abbiamo visto che non ne aveva certo motivo, al limite stava ancora impiegando la sua tattica di attrarre i Neapolitani in trappola. Ma Hegeas lo “inseguiva”?
Se Hegeas sapeva o immaginava che c'era una trappola predisposta per lui, se l'aveva giocata e quindi non aveva motivi per tornare a farla scattare, o se l'aveva fatta scattare e a quel punto non aveva speranze date le esigue forze rimaste con lui dopo la fuga verso mare degli altri, perché si gettò all'inseguimento?
Qui il campo è aperto alle ipotesi, che possiamo proporre sulla base di quanto già accaduto nel corso di quel conflitto: era noto che siccome il suo obiettivo era sconfiggere Roma, Annibale liberava i nemici italici sconfitti per spingerli a passare dalla sua parte, ed è probabile che avrebbe fatto lo stesso con eventuali prigionieri neapolitani. L'azione di Hegeas ci è invece presentata come un'impresa disperata, perché? Perché era il Comandante della Cavalleria di Neapolis, e probabilmente non aveva alcuna intenzione di avere la propria vita salva in cambio di un'alleanza con Annibale, il che ci induce a credere che quest'ipotesi fosse stata ventilata tra i nobili. Hegeas, invece, agì come chi, persa ogni speranza, avrebbe portato con sé quanti più nemici gli fosse possibile, e caricò.
Come avete visto, persino il carattere di quest'uomo traspare dal racconto di Livio, se si riflette con attenzione alla situazione nella quale si trovò e a come reagì. Era un nobile, nato dall'aristocrazia, una persona colta, eppure diede tutto sé stesso per la salvezza non solo delle mura e del tesoro, ma per quella dei contadini, dei poveri braccianti che cercavano rifugio in città, e non è purtroppo un modo di sentire, di pensare, di agire che osservo frequentemente nell'odierna Napoli.
Questo è il filo dei ragionamenti che me l'hanno descritto come un eroe: amava i suoi concittadini. A me è parso meraviglioso poterne raccontare una storia, per quanto romanzata e fantastica.
Sì, fantastica: è tale la distanza tra l'azione di Hegeas e il vivere odierno di tanta aristocrazia napoletana, che ho potuto spiegarla solo con una favola, la favola del buon nobile.
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