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venerdì 15 gennaio 2021

Perché Neapolis

Scrivere è sempre stato per me uno svago e un intrattenimento personale, alle volte dormiente per lungo tempo, altre volte ridicolizzato dalle opinioni altrui, ma sempre tornato con prepotenza a costringere la mia penna sul foglio.
Né nascondo che, in un secondo tempo, terminato il furor, l'estro, il momento creativo tutto personale, fa piacere immaginare che quanto scrivo possa essere apprezzato e condiviso da altri. Non è vanagloria, ma autentico piacere di comunicare, perché noi umani siamo animali sociali, e per quanto in alto possiamo raggiungere le nostre vette, si riducono a nulla se non siamo in grado di raccontare l'impresa a nessuno.
Ma quando decisi (ormai tanti) anni fa di cominciare a scrivere di Neapolis, feci una scelta lucida e razionale: volevo un filo conduttore che potesse imbrigliare con un motivo potente, continuo, inesauribile, la mia voglia di scrivere, e la storia di Napoli è tutte queste cose; ero all'estero, e prima di allora il mio particolare legame con Napoli non si era fatto sentire così prepotente perché, ammetto di aver peccato anch'io di questo peccato assai comune, la mancanza è (sembra banale) il sentimento di ciò che manca e, come dice la canzone “luntano 'a Napule nun se po' sta'”.

Il Castel dell'Ovo, sull'isolotto di Megaride, sullo sfondo del Vesuvio. Il primo approdo dal quale è nata Napoli.
Foto di Mirko Bozzato, © 2020.

C'era poi la mia maturazione: la circostanza di risiedere all'estero mi stava dando l'opportunità di conoscere, assumere, apprezzare altri modi di vivere e pensare che ribaltavano tanti preconcetti che avevo. Quei sospirati “deve poter esserci un altro modo per fare le cose” cominciavano a trovare conferma della loro esistenza, e non si trattava di idee balzane o surreali, ma di incombenze quotidiane come può essere la semplice domiciliazione bancaria, nel 2002!
Immaginate: io, originario di un ambiente e una cultura che millantano il primato della furbizia e dell'astuzia (nei casi più deleteri, a scapito degli altri), ricevevo conferma che, sebbene quelle qualità siano indispensabili in tempi di necessità, altre sono indispensabili per vivere come tanti dicono solo di voler fare, prigionieri di una mentalità miope che gli fa percepire il vantaggio a corto termine come l'unico meritevole di essere conseguito.
Dove nasce quest'atteggiamento in noi meridionali? L'argomento è ormai diventato campo di battaglia ideologica e io non amo quel genere di contesa, perché pugnandola non si arriva da nessuna parte. Né le cose sono migliorate col tempo: nel corso di due decenni siamo passati dal terronismo al leghismo, al neoborbonismo, e ora al risorgimentismo, tutti modi di pensare più o meno diffusi a diversi livelli perfino della cultura, tutti accomunati da un interesse morboso per l'annessione armata del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna. Fu impresa eroica? Fu salvataggio da un'invasore? Furono massacri, saccheggi e spoliazione? Mentre i social rilanciano giorno dopo giorno ora l'uno, ora l'altro punto di vista (come se la Storia fosse opinabile), la querelle mi infastidisce, mi irrita nell'attesa che voci autorevoli mettano fine a una diatriba inutile!
Sì, inutile: potrei capire se i meridionali di oggi, facendo tesoro della lezione cha la storia ha dato loro, dimostrassero di saper impiegare quelle virtù tante volte decantate per il bene della loro terra, ma a me non pare che il mezzogiorno sia questo crogiuolo di imprenditori, di idee, di consorzi, di mutua assistenza, di rivalutazione del territorio, di innovazione che sono la base per affrontare le sfide del XXI secolo! Eppure, qualcosa dentro di me diceva che quelle caratteristiche erano sopite ma non cancellate in ciascun mio conterraneo. E allora?
Allora vidi che rivangare quell'unico momento nella Storia al quale tanti attribuiscono ogni rovina possibile e immaginabile era sciocco: se avessi scritto storie del tempo di Garibaldi, l'evento storico avrebbe preso il sopravvento, nel migliore dei casi avrei potuto scrivere di tradimenti, congiure, corruttele, intrighi… Io volevo al contrario esaltare l'estro, il genio, il senso dello Stato. Invece di perdermi in polemiche, volevo che ciascun meridionale cominciasse a cercarli dentro di sé.
Ma per farli cercare, dovevo prima trovarli io stesso, e dove? Questa è la domanda alla quale cercai di rispondere facendo quello che faccio normalmente per mestiere: ricercare. E fu così che cominciai come a scuola, dalla storia antica, e dalle nebbie del mito emerse un mercato di coloni greci, isolati dalla madrepatria e separati da un entroterra ostile, orgogliosi di una protezione mitica, quella della Sirena Parthenope.
Napoli è una città che ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la fantasia, il sacro, l'esoterico, il soprannaturale, spesso miscelati in forme sconcertanti e mirabolanti allo stesso tempo, e da quell'elemento mi sono lasciato guidare, l'ho scelto come filo conduttore del mio scrivere perché spesso la spiegazione più semplice, sembra strano ma, più comprensibile per eventi pur storicamente accertati, è l'intervento di alcunché di trascendente alla natura umana.
E quell'alcunché di trascendente, con la sua superiorità, spiega e istruisce allo stesso tempo: è a esso che si ispira il nostro senso di giustizia, del dovere, dell'amore. Le nostre virtù sono riferite a qualcosa che non è umano ma è solo un concetto, un'astrazione, un ideale perfetto e inalterabile (sebbene generazioni diverse lo coniughino ciascuna a modo proprio), e ciò vale tanto per chi crede in un Essere Supremo ordinatore di tutte le cose, tanto per chi informa la propria vita all'osservanza di quegli ideali in quanto degni per sé stessi di guidare la vita dell'Uomo.
Laggiù, persi nelle nebbie della Storia più remota, lì dove la Storia propriamente detta e il mito s'intrecciano, gli unici riferimenti certi erano documenti e cronache di autori odiati da (quasi) ogni studente di ordine e grado, e poi i ritrovamenti più recenti di archeologi, sul cui lavoro storici avevano dedotto cose comunicate spesso solo in ristrette comunità scientifiche. La materia era insomma a un palmo dal naso, ma sulla copertina c'è un grande timbro rosso che dice “NOIOSO”!
Quella materia ho cominciato a sfogliarla coi mezzi a mia disposizione, e personaggi, eventi, vicende incredibili hanno superato un abisso temporale e hanno assunto ruoli in storie delle quali non avevo mai udito l'uguale, e che pure erano esattamente ciò che cercavo: cercavo una Napoli colta, nobile, orgogliosa del proprio operato, attenta al proprio popolo al punto di ricorrere ad astuzie e inganni per proteggerlo, non per approfittarne, e già l'avevo trovata nella vicenda narrata in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Ora giunge I Signori dei Cavalli, che è sulla stessa linea. Anche quest'altro romanzo racconta che sì, è nelle nostre mani fare della nostra terra ciò che vogliamo che sia, perché così è già stato in passato.
Perciò, per rispondere alla domanda iniziale, “Perché Neapolis?”, perché quando a Napoli arrivarono i Savoia, e prima i Borbone, e prima gli Spagnoli, e più indietro gli Aragonesi, gli Angioini, i Normanni… questa città aveva già migliaia di anni di storia, ed è quindi lampante come il sole che è stata la città a dare lustro alle dinastie che l'hanno dominata, non viceversa.
Chiudo questo post con una notizia dall'editore: i due volumi in uscita il 25 gennaio, Neapolis - Il Richiamo della Sirena (nella nuova edizione riveduta e ampliata) e Neapolis - I Signori dei Cavalli, sono in preordine presso i principali bookstore in rete: chi lo desidera può già ordinare i due capitoli della lunga storia della sirena usando i link pubblicati in questo blog!

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