Non dobbiamo però pensare ad Annibale solo come a un grande condottiero, ma innanzi tutto come a un geniale diplomatico e politico e vedremo, nella serie di post inaugurata da questo, che ogni sforzo del Cartaginese era teso a ben altro che lo scontro frontale con Roma: l'Urbe, il Punico lo sapeva bene, non sarebbe caduta sotto i colpi di una serie di terribili e ripetute sconfitte.
Cosa dava forza a Roma? La sua rete di alleanze. Come aveva vinto Roma la Prima Guerra Punica? Componendo un ultimo esercito capace di sbarcare in Africa e sbaragliare Cartagine. Da dove arrivavano tutti quegli uomini? Oltre la metà d'essi erano socii, alleati, stretti a Roma da patti che erano l'autentica potenza dell'Urbe. Se Annibale voleva abbattere Roma, doveva smantellare questa rete di alleanze.
Quando dopo il Ticino e il Trebbia i Galli lasciarono Roma per allearsi con Annibale, il Cartaginese non si fece troppe illusioni: la pianura padana era troppo lontana da Roma perché la defezione di popoli da sempre ostili all'Urbe significasse qualcosa. Il primo segno che la sua impresa era più difficile di quanto preventivato, Annibale lo ebbe a Spoletium, dopo la battaglia sul Trasimeno.
La sconfitta era stata terribile per i Romani e un console (Gaio Flaminio) era morto in battaglia. Annibale aveva liberato molti socii catturati in battaglia senza riscatto, proprio per ingraziarsi le loro città, ma Spoletium oppose una fiera resistenza.
Se una colonia gli si opponeva, a maggior ragione prendere Roma stessa era impensabile. Annibale, che in quel momento era diretto lì, deviò il proprio esercito fino a giungere in Irpinia.
Annibale non era un pavido: le battaglie vinte, il passaggio delle Alpi, la presa di Sagunto, dicono abbastanza di lui come uomo capace e risoluto. Ma prendere Sagunto aveva richiesto ben otto mesi di assedio con tutte le forze cartaginesi in Iberia a sua disposizione, linee di rifornimenti ininterrotte, nessun nemico a disturbare l'azione. In Italia, in territorio nemico, con Roma che sfornava eserciti su eserciti, senza poter contare su rifornimenti certi, quali potevano essere le speranze di sostenere un assedio prolungato a chicchessia?
Per bizzarra che possa sembrare la versione passata alla storia, quando l'anno dopo il Cartaginese ritorna in quella Campania dove lui ci era capitato “proprio per errore”, gli storici non hanno remore nell'ammettere tutti i vantaggi strategici della decisione (come abbiamo avuto modo di leggere in Polibio nel post sul ruolo della cavalleria annibalica).
Non è così difficile immaginare che Annibale avesse tutta l'intenzione di trarre il massimo vantaggio, militare e politico, dalla posizione della Campania già nel 217 a.C., subito dopo il Trasimeno, e infatti egli si dirige in Campania dopo aver inferto a Roma l'ennesima, la più disastrosa delle sconfitte: Canne.
Cosa possiamo addurre a sostegno di questa linea “diplomatica” di Annibale? Solo le parole del più aspro commentatore nei confronti di Cartagine:
Tutti gli ufficiali di Annibale gli si fecero intorno e si congratularono per la sua vittoria, e gli chiesero che dopo una tale magnifico successo egli permettesse a sé stesso e ai suoi uomini esausti di riposare per il resto del giorno e la notte seguente. Ma Maharbal, il comandante della cavalleria, pensò che essi non dovessero perdere un momento.Se Annibale aveva bisogno di tempo, dopo tutto ciò che abbiamo detto di lui, avrete capito che non era certo per mettere a punto dei piani. Al limite, il Punico voleva capire quanto grande era stata la sconfitta di Canne per i suoi nemici: dov'erano i superstiti romani? Come avrebbero accolto gli alleati di Roma quella sconfitta? Muovendosi da Canne, che resistenza avrebbe incontrato? Queste sono le preoccupazioni di un generale che si muove in un territorio ostile e, con la gran carneficina che ogni battaglia comporta, Annibale non aveva certo motivi per ritenersi ben voluto dagli alleati italici.
«Affinché tu sappia ciò che è stato vinto in questa battaglia», disse ad Annibale, «prevedo che in cinque giorni starai banchettando da vincitore nel Campidoglio. Seguimi! Andrò avanti con la cavalleria: penseranno che tu sia lì prima ancora che tu sia arrivato!»
Ad Annibale la vittoria parve troppo grande e favorevole perché egli potesse rendersene conto al momento. Disse a Maharbal che commendava il suo zelo, ma che aveva bisogno di tempo per mettere a punto i suoi piani.[Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXII, 51]
Ma di questo, di quanto influivano le decisioni degli alleati di Roma sulle mosse di Annibale, parleremo nel prossimo post.
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