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sabato 31 ottobre 2020

Decifrare una Storia (I)

Riprendo questi post dopo tanto di quel tempo che è stata un sorpresa “scoprire” quanto la trama fosse ben stesa fin dai suoi primi abbozzi.
In particolare, già a marzo 2015 avevo descritto buona parte del materiale che mi ha portato alla realizzazione di Neapolis - I Signori dei Cavalli. Buona parte, ma non tutto.
Ovviamente, il cuoco non anticipa mai le sue ricette: alcuni avventori potrebbero non essere molto interessati a come il piatto è preparato, quindi bisogna sempre trovare il modo di stuzzicare l'appetito senza rovinare la curiosità.
Inoltre, ho osservato come proprio in quel periodo, per conferire profondità alla storia, quella profondità che viene dal confrontarsi con un intero mondo che gira intorno ai protagonisti, i post hanno cominciato a trattare la materia che è poi confluita nell'opera che stava crescendo insieme alla vicenda di Hegeas.
Ma con I Signori dei Cavalli prossimo all'uscita posso rompere gli indugi e tirare le fila di come sono giunto a dare al romanzo la sua trama. Questa serie di post è dunque un tentativo di ricostruzione storica, e partiremo dallo stesso passo già citato cinque anni fa: Tito Livio, Ab Urbe Condita, XXIII, 1. Questa volta, mi sentirò in diritto di fermarmi a ogni passo che riterrò rilevante.
Subito dopo la battaglia di Cannae
Livio fissa in maniera estremamente chiara quest'azione nel tempo: dopo Cannae. Tengo particolarmente a questo dettaglio perché la notizia della disfatta colse l'intera penisola come un disastro di proporzioni incomparabili. Cannae fu la vittoria che permise ad Annibale di rompere le alleanze romane, e infatti diverse città gli proposero immediatamente alleanza. Tra queste, Argyrippa in Apulia e Compsa in Irpinia.
La firma di diversi trattati mentre Annibale procede verso il Tirreno è interessante perché aiuta a chiarire il senso di quel “subito”: Annibale si mosse con tutta la celerità che il suo grande esercito gli permetteva, ma la notizia dell'esito della battaglia lo precedeva suonando la grancassa!
È ciò rilevante per Neapolis? Certamente! Perché quell'anno la leva indetta dai consoli Emilio Paolo e Terenzio Varro aveva richiesto l'invio di alleati per la fanteria persino ai socii navales, tra i quali era Neapolis.
Non sappiamo quale fosse l'entità del contingente mandato dai Neapolitani a Roma, ma sappiamo di coppe d'oro inviate per sostenere lo sforzo bellico subito dopo un'analoga iniziativa di Syrakuse: mi è difficile pensare che Neapolis non abbia fatto qualcosa di simile a quanto fatto dalla sua metropolis, che aveva accompagnato il dono di una Nike d'oro massiccio con vettovaglie, arcieri e frombolieri.
Dobbiamo dunque supporre che la notizia del disastro di Cannae fu accolta a Neapolis con costernazione: l'esito della prima battaglia campale per la quale mandano uomini si rivela un disastro, e non ci è dato sperare cha ai Neapolitani fosse toccata miglior sorte che ai Romani. Cannae fu un'autentica carneficina di romani e alleati in parti uguali.
Lui (Annibale) stesso (dopo aver diviso le forze col fratello Magon) marciò attraverso il distretto campano verso il Mare Inferiore (il Tirreno) prevedendo di aggredire Neapolis in modo da avere una città accessibile dal mare.
Che ad Annibale avrebbe fatto comodo una città accessibile dal mare è circostanza che può essere difficilmente sopravvalutata: era partito per la sua guerra due anni prima; si era scontrato coi Romani diverse volte, ma quelli continuavano a godere del vantaggio della posizione (giocavano in casa); persino poco prima di Cannae erano corse voci di defezioni degli Iberici (il suo esercito di mercenari “pretendeva” cibo e paga arretrata); era abitudine fermare ogni attività bellica durante l'inverno, mentre i suoi uomini erano rimasti in leva permanente e senza ricambi, coi soli rinforzi dei Galli del Po dal giorno della partenza; in quel momento stava preparando l'ambasceria nella quale mandava il fratello Magon a Cartagine con le ceste di anelli tolti ai cavalieri romani morti durante le varie battaglie…
Ovviamente, pensava a rendere rapido l'arrivo dei rinforzi, il che significava farli approdare lì dove a lui sarebbero serviti, vicino a Roma, e Neapolis sarebbe stato un porto ideale per quello scopo.
Perché ideale? Perché Annibale era rimasto impressionato l'anno precedente dalla situazione del Kampanon, una terra fertile ma, soprattutto, pianeggiante, adatta ai movimenti della propria cavalleria più che della fanteria romana. Si sarebbe stabilito lì, una posizione per lui facilmente difendibile dove neanche Fabio Massimo aveva osato molestarlo, e avrebbe potuto così dimostrare di aver già vinto la guerra.
Aveva ragione di credere che non avrebbe incontrato resistenze, anzi! L'anno prima aveva ricevuto ambascerie da parte di Kapu che gli avevano offerto la resa spontanea della città, famosa soprattutto per la sua cavalleria, il che avrebbe irrobustito immediatamente l'arma più forte del Cartaginese.
In questo scenario campano, la posizione di Neapolis era ideale: con Kapu dalla sua parte, Annibale si sarebbe trovato per la prima volta in Italia a poter svolgere un assedio senza l'assillo dei Romani, perché tutto il territorio intorno alla preda sarebbe stato suo alleato.
Neapolis, dunque, vittima designata e ideale. C'era un solo problema: la polis non aveva alcuna intenzione di cedere ad Annibale.
È ovvio ritenere che Annibale abbia cercato di sedurre la città alla propria causa: nessun generale rischia i propri uomini a cuor leggero, e il Punico non aveva motivi per sprecare i propri. A migliaia erano morti nelle “vittoriose” battaglie (alcuni storici assimilano Cannae a una vittoria di Pirro: brillante ma carissima in termini di uomini); il porto era necessario proprio per chiedere rinforzi, non certo per perdere altri effettivi.
Poi va considerata l'abitudine di Annibale di dipingersi come il liberatore giunto ad affrancare l'Italia dall'oppressione romana: aveva liberato i superstiti italici dopo le battaglie col solo impegno che non tornassero a combatterlo; aveva sempre tentato la via diplomatica prima di un assedio, anche quello di Spoleto dopo la battaglia sul Trasimeno; infine, era vincitore su tutta la linea, la brutale totalità delle sue vittorie non lasciava speranze di salvezza in caso di scontro, e aveva quindi motivo di credere che una sua offerta di pace sarebbe stata quanto meno tenuta in considerazione.
L'ultimo motivo per un'iniziativa diplomatica viene da un'altra considerazione che Livio elargisce solo alla fine del passo:
L'aspetto delle mura distolse il Cartaginese dall'attacco della città: esse non offrivano alcun appiglio per un assalto.
Io non credo che un generale capace come Annibale si sia reso conto solo in un secondo momento della solidità delle mura di Neapolis, che mai furono violate nella loro storia antica (la città fu presa solo con l'inganno), e che all'arrivo del Cartaginese dovevano apparire più solide che mai: l'archeologo Mario Napoli, nel suo Napoli greco-romana, riporta di lavori di consolidamento delle mura corrispondenti temporalmente alla calata di Annibale.
Annibale aveva quindi tutti i motivi per non tentare l'azione di forza, eppure Livio comincia lo scontro con ben altro piglio, ma ciò lo analizzeremo nel prossimo post.

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