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sabato 20 ottobre 2012

Guerrieri e Amanti

Nella lettura del mio romanzo ci si imbatterà in un personaggio, Pelagíos, un guerriero Tebano reduce dalla battaglia di Cheronea (338 a.C.) e che aveva fatto parte del Battaglione Sacro.
Accanto alla tradizione che vuole i trecento uomini di questo speciale corpo d'élite totalmente sterminati nel corso della battaglia, un'altra sussiste che vuole la morte di 254 dei trecento, e la sopravvivenza di pochissimi.
Ma prima di procedere oltre col post, leggiamo cosa ci racconta Plutarco nella sua Vita di Pelopida, 18, di quest'eccezionale corpo d'armata.
Il Battaglione sacro, ci raccontano, fu formato per la prima volta da Gorgida, da trecento uomini scelti, ai quali la città (Tebe) offrì esercizio e mantenimento, e che si accamparono nella Rocca Cadmeia; per la qual ragione, inoltre, essi venivano chiamati il battaglione della città; perché le cittadelle in quei giorni erano propriamente chiamate città. Ma alcuni dicono che questo battaglione era composto da amanti e amati. E si cita una spiritosaggine di Pammenes, nella quale egli disse che il Nestore di Omero non fu un gran stratega quando incitò i Greci a formare compagnie per clan e tribù,
«Dimodoché il clan potesse dare assisternza al clan e la tribù alla tribù»
dal momento che avrebbe dovuto porre l'amante accanto all'amato. Perché gli uomini di una stessa tribù e di uno stesso clan tengono in poco conto i loro compagni in tempi di pericolo; al contrario, un battaglione che è tenuto insieme dall'amicizia tra amanti è indissolubile e non può essere disfatto, dal momento che gli amanti si vergognano di fare i codardi al cospetto dei loro amati, e gli amati al cospetto dei loro amanti, ed entrambi restano fermi nel pericolo per proteggersi l'un l'altro.

mercoledì 17 ottobre 2012

Ancora su Nypsio il Neapolitano

Plutarco non è l'unico storico a parlarci di Nypsio il Neapolitano. Diodoro Siculo è spesso citato al suo posto come la fonte principale di notizie su questo personaggio. Ma è dal confronto tra le diverse versioni storiche che si traggono spunti interessanti per riflettere su quale sia stato il reale svolgimento dei fatti durante la terribile guerra civile a Siracusa.
Già la versione data da Plutarco presenta, secondo il mio modesto parere, notevoli incongruenze, ma quando cerchiamo di mettere insieme quanto da lui raccontato con quanto leggeremo oggi, saremo forse pronti per porci domande e trovare risposte.
Vediamo dunque cosa racconta Diodoro Siculo, nella sua Bibliotheca Historica XVI, 18-19:

domenica 14 ottobre 2012

Bella da Perderci la Testa

Che senta forte il legame con la mia terra non è certo un mistero. Che ne sia orgoglioso nonostante essa sia sempre al centro di cronache poco edificanti può sembrare quanto meno bizzarro.
È una terra buona e bella, sulla quale è stata cresciuta nelle peggiori condizioni di allevamento la belva più feroce: l'uomo.
Non è assolutamente mia intenzione ammansire i miei conterranei: la loro energia, la loro vitalità, le loro risorse sono a mio parere male indirizzate dal sopruso e dall'arroganza di chi lascia loro un solo modo per vivere: il malvivere.
Non sto per cominciare l'ennesimo pistolotto assistenzialista, al contrario! La Campania non ha bisogno di assistenzialismo, magari di assistenza per rimettersi in piedi, ma non di assistenzialismo: essa ha tutto ciò che serve per rendere ricca e felice la propria gente, anzi ha fin troppo!
È sempre stato così. Certo, oggi i cumuli di immondizia (materiale e umana) deturpano il paesaggio all'occhio del visitatore e dello straniero, ma questa è una patina recente, assai dannosa forse, e che costerà anni e sforzo a togliere. Ma lo sforzo credo sembrerà più leggero, più accettabile se abbiamo sotto gli occhi non il territorio devastato di oggi, ma quello che la Natura ci ha affidato.
Cerchiamo di capire allora quanto questo territorio fosse incomparabilmente ricco nel suo stato naturale e facciamocelo raccontare dalla storia. Oggi riporterò un passo di Dionigi d'Alicarnasso, “Antichità Romane” XV, 3: era un territorio talmente bello da far perdere la testa.

mercoledì 10 ottobre 2012

Il Passato di Un Illustre Neapolitano

È giunto il momento di tornare a parlare di un personaggio chiave del mio romanzo: quel tale Nymphios che viene citato di sfuggita da Tito Livio a proposito dell'assedio di Neapolis come “princeps civitatis” in Ab Urbe Condita, VIII, 25.
Avremo modo di tornare sul passo citato. Oggi voglio invece presentare un passo di Plutarco nel quale fa la sua comparsa un tale Nypsios, neapolitano, esperto uomo d'armi. Penserete che un personaggio non abbia nulla a che vedere con l'altro, a parte un'evidente somiglianza del nome ed il fatto di essere entrambi neapolitani.
Per quanto suggestiva, anch'io non mi sarei spinto oltre il notare la somiglianza, senonché in The Cambridge Ancient History, Volume 6, ed. D.M. Lewis, John Boardman, Simon Hornblower, M. Ostwald si trova che
[…] forse gli Osci di Neapolis non erano così diversi nel 326/7, quando udiamo di un leader Neapolitano dal nome probabilmente Osco di Nymphius (cfr. Nypsius il generale Neapolitano di Dionysius II, Diod., XVI, 18.1). […]
Di nuovo, si trova in Ancient Italy; historical and geographical investigations in Central Italy, Magna Graecia, Sicily, and Sardinia, di E. Pais, che:
[…] È stata anche sollevata la questione se Nymphius, padre di Paquius, ed uno dei due generali Neapolitani dell'iscrizione, possa essere identificato con il famoso Neapolitano Nypsius, un generale di Dionysius II (vd. Diod. XVI 18-20). Sembra impossibile provare alcunché al riguardo, dal momento che il nome “Nypsius”, che parrebbe essere lo stesso del Nymphios che era pretore nel 326, appare in altre iscrizioni provenienti da Neapolis (e.g., Kaibel, No. 726) ed anche da Capua (CIL, X, 4251). Questo nome potrebbe essere stato abbastanza comune a Neapolis ed in Campania.
[…]

domenica 7 ottobre 2012

Gli Insegnamenti Di Una Donna

Il periodo storico nel quale si svolge il mio romanzo è probabilmente stato uno dei più fecondi per l'umanità nella creazione di menti pensanti, se si tengono in considerazione i dovuti distinguo e le difficoltà del tempo. La società ellenica, in particolare, stava esprimendo i frutti più avanzati del pensiero occidentale per i seguenti diciotto secoli: i filosofi.
Tra tutti, Socrate aveva segnato un punto di svolta così forte e profondo col passato, che molta didattica separa la filosofia greca in pre- e post-socratici, in maniera poco diversa da quanto si fa con le date a.C. e d.C.
Di Socrate, che non scrisse nulla di proprio pugno, sappiamo ciò che hanno raccontato i suoi allievi, Platone il primo d'essi.
I critici hanno questionato spesso la fedeltà di Platone agli insegnamenti del maestro: siamo sicuri che quanto l'allievo ha attribuito a Socrate non fosse in realtà farina del suo proprio sacco? A distanza di duemilaquattrocento anni ritengo la cosa irrilevante: è al contrario meraviglioso che all'epoca qualcuno potesse esprimere le idee che troviamo nel “Simposio”.
Ho letto il “Simposio” durante una vacanza estiva, probabilmente il modo migliore di leggere a proposito della migliore società di Atene e dei discorsi che si tenevano nelle sue serate mondane, con Alcibiade sbronzo che tentava di adescare Socrate (sic!), ma ciò che più mi ha colpito è stato il ruolo che Platone attribuisce a Diotima.
Questa donna, che viene presentata come una sacerdotessa di qualche tipo giacché, nelle parole di Platone, prima della peste, fece fare agli Ateniesi quei sacrifici che ritardarono di dieci anni l'epidemia, diventa colei che addirittura educa Socrate, il maestro di Platone, a proposito di Eros.

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