Storie di Neapolis
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venerdì 15 gennaio 2021
Perché Neapolis
Scrivere è sempre stato per me uno svago e un intrattenimento personale, alle volte dormiente per lungo tempo, altre volte ridicolizzato dalle opinioni altrui, ma sempre tornato con prepotenza a costringere la mia penna sul foglio.
Né nascondo che, in un secondo tempo, terminato il furor, l'estro, il momento creativo tutto personale, fa piacere immaginare che quanto scrivo possa essere apprezzato e condiviso da altri. Non è vanagloria, ma autentico piacere di comunicare, perché noi umani siamo animali sociali, e per quanto in alto possiamo raggiungere le nostre vette, si riducono a nulla se non siamo in grado di raccontare l'impresa a nessuno.
Ma quando decisi (ormai tanti) anni fa di cominciare a scrivere di Neapolis, feci una scelta lucida e razionale: volevo un filo conduttore che potesse imbrigliare con un motivo potente, continuo, inesauribile, la mia voglia di scrivere, e la storia di Napoli è tutte queste cose; ero all'estero, e prima di allora il mio particolare legame con Napoli non si era fatto sentire così prepotente perché, ammetto di aver peccato anch'io di questo peccato assai comune, la mancanza è (sembra banale) il sentimento di ciò che manca e, come dice la canzone “luntano 'a Napule nun se po' sta'”.
C'era poi la mia maturazione: la circostanza di risiedere all'estero mi stava dando l'opportunità di conoscere, assumere, apprezzare altri modi di vivere e pensare che ribaltavano tanti preconcetti che avevo. Quei sospirati “deve poter esserci un altro modo per fare le cose” cominciavano a trovare conferma della loro esistenza, e non si trattava di idee balzane o surreali, ma di incombenze quotidiane come può essere la semplice domiciliazione bancaria, nel 2002!
Immaginate: io, originario di un ambiente e una cultura che millantano il primato della furbizia e dell'astuzia (nei casi più deleteri, a scapito degli altri), ricevevo conferma che, sebbene quelle qualità siano indispensabili in tempi di necessità, altre sono indispensabili per vivere come tanti dicono solo di voler fare, prigionieri di una mentalità miope che gli fa percepire il vantaggio a corto termine come l'unico meritevole di essere conseguito.
Dove nasce quest'atteggiamento in noi meridionali? L'argomento è ormai diventato campo di battaglia ideologica e io non amo quel genere di contesa, perché pugnandola non si arriva da nessuna parte. Né le cose sono migliorate col tempo: nel corso di due decenni siamo passati dal terronismo al leghismo, al neoborbonismo, e ora al risorgimentismo, tutti modi di pensare più o meno diffusi a diversi livelli perfino della cultura, tutti accomunati da un interesse morboso per l'annessione armata del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna. Fu impresa eroica? Fu salvataggio da un'invasore? Furono massacri, saccheggi e spoliazione? Mentre i social rilanciano giorno dopo giorno ora l'uno, ora l'altro punto di vista (come se la Storia fosse opinabile), la querelle mi infastidisce, mi irrita nell'attesa che voci autorevoli mettano fine a una diatriba inutile!
Sì, inutile: potrei capire se i meridionali di oggi, facendo tesoro della lezione cha la storia ha dato loro, dimostrassero di saper impiegare quelle virtù tante volte decantate per il bene della loro terra, ma a me non pare che il mezzogiorno sia questo crogiuolo di imprenditori, di idee, di consorzi, di mutua assistenza, di rivalutazione del territorio, di innovazione che sono la base per affrontare le sfide del XXI secolo! Eppure, qualcosa dentro di me diceva che quelle caratteristiche erano sopite ma non cancellate in ciascun mio conterraneo. E allora?
Allora vidi che rivangare quell'unico momento nella Storia al quale tanti attribuiscono ogni rovina possibile e immaginabile era sciocco: se avessi scritto storie del tempo di Garibaldi, l'evento storico avrebbe preso il sopravvento, nel migliore dei casi avrei potuto scrivere di tradimenti, congiure, corruttele, intrighi… Io volevo al contrario esaltare l'estro, il genio, il senso dello Stato. Invece di perdermi in polemiche, volevo che ciascun meridionale cominciasse a cercarli dentro di sé.
Ma per farli cercare, dovevo prima trovarli io stesso, e dove? Questa è la domanda alla quale cercai di rispondere facendo quello che faccio normalmente per mestiere: ricercare. E fu così che cominciai come a scuola, dalla storia antica, e dalle nebbie del mito emerse un mercato di coloni greci, isolati dalla madrepatria e separati da un entroterra ostile, orgogliosi di una protezione mitica, quella della Sirena Parthenope.
Napoli è una città che ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la fantasia, il sacro, l'esoterico, il soprannaturale, spesso miscelati in forme sconcertanti e mirabolanti allo stesso tempo, e da quell'elemento mi sono lasciato guidare, l'ho scelto come filo conduttore del mio scrivere perché spesso la spiegazione più semplice, sembra strano ma, più comprensibile per eventi pur storicamente accertati, è l'intervento di alcunché di trascendente alla natura umana.
E quell'alcunché di trascendente, con la sua superiorità, spiega e istruisce allo stesso tempo: è a esso che si ispira il nostro senso di giustizia, del dovere, dell'amore. Le nostre virtù sono riferite a qualcosa che non è umano ma è solo un concetto, un'astrazione, un ideale perfetto e inalterabile (sebbene generazioni diverse lo coniughino ciascuna a modo proprio), e ciò vale tanto per chi crede in un Essere Supremo ordinatore di tutte le cose, tanto per chi informa la propria vita all'osservanza di quegli ideali in quanto degni per sé stessi di guidare la vita dell'Uomo.
Laggiù, persi nelle nebbie della Storia più remota, lì dove la Storia propriamente detta e il mito s'intrecciano, gli unici riferimenti certi erano documenti e cronache di autori odiati da (quasi) ogni studente di ordine e grado, e poi i ritrovamenti più recenti di archeologi, sul cui lavoro storici avevano dedotto cose comunicate spesso solo in ristrette comunità scientifiche. La materia era insomma a un palmo dal naso, ma sulla copertina c'è un grande timbro rosso che dice “NOIOSO”!
Quella materia ho cominciato a sfogliarla coi mezzi a mia disposizione, e personaggi, eventi, vicende incredibili hanno superato un abisso temporale e hanno assunto ruoli in storie delle quali non avevo mai udito l'uguale, e che pure erano esattamente ciò che cercavo: cercavo una Napoli colta, nobile, orgogliosa del proprio operato, attenta al proprio popolo al punto di ricorrere ad astuzie e inganni per proteggerlo, non per approfittarne, e già l'avevo trovata nella vicenda narrata in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Ora giunge I Signori dei Cavalli, che è sulla stessa linea. Anche quest'altro romanzo racconta che sì, è nelle nostre mani fare della nostra terra ciò che vogliamo che sia, perché così è già stato in passato.
Perciò, per rispondere alla domanda iniziale, “Perché Neapolis?”, perché quando a Napoli arrivarono i Savoia, e prima i Borbone, e prima gli Spagnoli, e più indietro gli Aragonesi, gli Angioini, i Normanni… questa città aveva già migliaia di anni di storia, ed è quindi lampante come il sole che è stata la città a dare lustro alle dinastie che l'hanno dominata, non viceversa.
Chiudo questo post con una notizia dall'editore: i due volumi in uscita il 25 gennaio, Neapolis - Il Richiamo della Sirena (nella nuova edizione riveduta e ampliata) e Neapolis - I Signori dei Cavalli, sono in preordine presso i principali bookstore in rete: chi lo desidera può già ordinare i due capitoli della lunga storia della sirena usando i link pubblicati in questo blog!
Né nascondo che, in un secondo tempo, terminato il furor, l'estro, il momento creativo tutto personale, fa piacere immaginare che quanto scrivo possa essere apprezzato e condiviso da altri. Non è vanagloria, ma autentico piacere di comunicare, perché noi umani siamo animali sociali, e per quanto in alto possiamo raggiungere le nostre vette, si riducono a nulla se non siamo in grado di raccontare l'impresa a nessuno.
Ma quando decisi (ormai tanti) anni fa di cominciare a scrivere di Neapolis, feci una scelta lucida e razionale: volevo un filo conduttore che potesse imbrigliare con un motivo potente, continuo, inesauribile, la mia voglia di scrivere, e la storia di Napoli è tutte queste cose; ero all'estero, e prima di allora il mio particolare legame con Napoli non si era fatto sentire così prepotente perché, ammetto di aver peccato anch'io di questo peccato assai comune, la mancanza è (sembra banale) il sentimento di ciò che manca e, come dice la canzone “luntano 'a Napule nun se po' sta'”.
C'era poi la mia maturazione: la circostanza di risiedere all'estero mi stava dando l'opportunità di conoscere, assumere, apprezzare altri modi di vivere e pensare che ribaltavano tanti preconcetti che avevo. Quei sospirati “deve poter esserci un altro modo per fare le cose” cominciavano a trovare conferma della loro esistenza, e non si trattava di idee balzane o surreali, ma di incombenze quotidiane come può essere la semplice domiciliazione bancaria, nel 2002!
Immaginate: io, originario di un ambiente e una cultura che millantano il primato della furbizia e dell'astuzia (nei casi più deleteri, a scapito degli altri), ricevevo conferma che, sebbene quelle qualità siano indispensabili in tempi di necessità, altre sono indispensabili per vivere come tanti dicono solo di voler fare, prigionieri di una mentalità miope che gli fa percepire il vantaggio a corto termine come l'unico meritevole di essere conseguito.
Dove nasce quest'atteggiamento in noi meridionali? L'argomento è ormai diventato campo di battaglia ideologica e io non amo quel genere di contesa, perché pugnandola non si arriva da nessuna parte. Né le cose sono migliorate col tempo: nel corso di due decenni siamo passati dal terronismo al leghismo, al neoborbonismo, e ora al risorgimentismo, tutti modi di pensare più o meno diffusi a diversi livelli perfino della cultura, tutti accomunati da un interesse morboso per l'annessione armata del Regno delle Due Sicilie a quello di Sardegna. Fu impresa eroica? Fu salvataggio da un'invasore? Furono massacri, saccheggi e spoliazione? Mentre i social rilanciano giorno dopo giorno ora l'uno, ora l'altro punto di vista (come se la Storia fosse opinabile), la querelle mi infastidisce, mi irrita nell'attesa che voci autorevoli mettano fine a una diatriba inutile!
Sì, inutile: potrei capire se i meridionali di oggi, facendo tesoro della lezione cha la storia ha dato loro, dimostrassero di saper impiegare quelle virtù tante volte decantate per il bene della loro terra, ma a me non pare che il mezzogiorno sia questo crogiuolo di imprenditori, di idee, di consorzi, di mutua assistenza, di rivalutazione del territorio, di innovazione che sono la base per affrontare le sfide del XXI secolo! Eppure, qualcosa dentro di me diceva che quelle caratteristiche erano sopite ma non cancellate in ciascun mio conterraneo. E allora?
Allora vidi che rivangare quell'unico momento nella Storia al quale tanti attribuiscono ogni rovina possibile e immaginabile era sciocco: se avessi scritto storie del tempo di Garibaldi, l'evento storico avrebbe preso il sopravvento, nel migliore dei casi avrei potuto scrivere di tradimenti, congiure, corruttele, intrighi… Io volevo al contrario esaltare l'estro, il genio, il senso dello Stato. Invece di perdermi in polemiche, volevo che ciascun meridionale cominciasse a cercarli dentro di sé.
Ma per farli cercare, dovevo prima trovarli io stesso, e dove? Questa è la domanda alla quale cercai di rispondere facendo quello che faccio normalmente per mestiere: ricercare. E fu così che cominciai come a scuola, dalla storia antica, e dalle nebbie del mito emerse un mercato di coloni greci, isolati dalla madrepatria e separati da un entroterra ostile, orgogliosi di una protezione mitica, quella della Sirena Parthenope.
Napoli è una città che ha sempre avuto un rapporto molto particolare con la fantasia, il sacro, l'esoterico, il soprannaturale, spesso miscelati in forme sconcertanti e mirabolanti allo stesso tempo, e da quell'elemento mi sono lasciato guidare, l'ho scelto come filo conduttore del mio scrivere perché spesso la spiegazione più semplice, sembra strano ma, più comprensibile per eventi pur storicamente accertati, è l'intervento di alcunché di trascendente alla natura umana.
E quell'alcunché di trascendente, con la sua superiorità, spiega e istruisce allo stesso tempo: è a esso che si ispira il nostro senso di giustizia, del dovere, dell'amore. Le nostre virtù sono riferite a qualcosa che non è umano ma è solo un concetto, un'astrazione, un ideale perfetto e inalterabile (sebbene generazioni diverse lo coniughino ciascuna a modo proprio), e ciò vale tanto per chi crede in un Essere Supremo ordinatore di tutte le cose, tanto per chi informa la propria vita all'osservanza di quegli ideali in quanto degni per sé stessi di guidare la vita dell'Uomo.
Laggiù, persi nelle nebbie della Storia più remota, lì dove la Storia propriamente detta e il mito s'intrecciano, gli unici riferimenti certi erano documenti e cronache di autori odiati da (quasi) ogni studente di ordine e grado, e poi i ritrovamenti più recenti di archeologi, sul cui lavoro storici avevano dedotto cose comunicate spesso solo in ristrette comunità scientifiche. La materia era insomma a un palmo dal naso, ma sulla copertina c'è un grande timbro rosso che dice “NOIOSO”!
Quella materia ho cominciato a sfogliarla coi mezzi a mia disposizione, e personaggi, eventi, vicende incredibili hanno superato un abisso temporale e hanno assunto ruoli in storie delle quali non avevo mai udito l'uguale, e che pure erano esattamente ciò che cercavo: cercavo una Napoli colta, nobile, orgogliosa del proprio operato, attenta al proprio popolo al punto di ricorrere ad astuzie e inganni per proteggerlo, non per approfittarne, e già l'avevo trovata nella vicenda narrata in Neapolis - Il Richiamo della Sirena.
Ora giunge I Signori dei Cavalli, che è sulla stessa linea. Anche quest'altro romanzo racconta che sì, è nelle nostre mani fare della nostra terra ciò che vogliamo che sia, perché così è già stato in passato.
Perciò, per rispondere alla domanda iniziale, “Perché Neapolis?”, perché quando a Napoli arrivarono i Savoia, e prima i Borbone, e prima gli Spagnoli, e più indietro gli Aragonesi, gli Angioini, i Normanni… questa città aveva già migliaia di anni di storia, ed è quindi lampante come il sole che è stata la città a dare lustro alle dinastie che l'hanno dominata, non viceversa.
Chiudo questo post con una notizia dall'editore: i due volumi in uscita il 25 gennaio, Neapolis - Il Richiamo della Sirena (nella nuova edizione riveduta e ampliata) e Neapolis - I Signori dei Cavalli, sono in preordine presso i principali bookstore in rete: chi lo desidera può già ordinare i due capitoli della lunga storia della sirena usando i link pubblicati in questo blog!
Parole chiave:
Critica,
Cultura,
I Signori dei Cavalli,
Il Richiamo della Sirena,
Intro,
Neapolis,
Personale,
Storia
Località:
Barcelona, Spain
sabato 9 gennaio 2021
Il Richiamo della Sirena (II Ed.)
Post breve, ma denso di contenuti: cominciamo con la data di pubblicazione, finalmente fissata al 25 gennaio!
E con Neapolis - I Signori dei Cavalli prossimo alla pubblicazione, mi è data l'occasione non solo per ripercorrere la trama del romanzo, ma anche per riflettere su cosa è cambiato nel mio sentire queste opere.
Per quanto possano assorbire la gran parte del tempo che dedico a scrivere, questi romanzi sulla storia di Parthenope sono per me eccezioni, non la norma. Sono sempre estremamente pronto a lasciarmi distrarre da un'emozione, da una sensazione che vuole essere descritta. Lascio che il momento creativo scorra potente e spensierato come un bambino all'uscita di scuola, ma tutti sappiamo che l'entusiasmo dei bambini è spesso un fuoco di paglia: basta un insetto, la voce di un amico, e già stanno pensando a qualcos'altro. Indubbiamente, riuscire a scrivere un racconto breve sembra più semplice.
Ci ho provato, l'ho fatto, so che non è così, e i Racconti alla Luce della Luna o i diversi altri racconti da me proposti lo dimostrano, ma ecco, adesso rischio di cambiare argomento…
Un romanzo richiede doti di perseveranza e attenzione, di cura, di continuo tornare e ritornare sugli stessi passi fino a quando lo stesso scrittore sia convinto della coerenza di tutto quanto ha messo nero su bianco. Se in un racconto breve la sospensione dell'incredulità è relativamente semplice da sostenere, in un romanzo bisogna profondere un impegno titanico per ottenere lo stesso risultato dal principio alla fine.
Potrà sembrare singolare un commento simile parlando di romanzi storici, ma c'è una gran differenza tra la vicenda storica (quella, indiscutibile) e il romanzo che in essa vive. Quando poi tale opera sia posta nel contesto di una serie di romanzi, la ricerca della coerenza tra le diverse storie, la robustezza del filo conduttore, diventa quasi tortura per lo stesso autore!
Neapolis - Il Richiamo della Sirena è stato pubblicato nel 2013, e I Signori dei Cavalli è prossimo alla pubblicazione a gennaio 2021: quasi otto anni li dividono, otto anni durante i quali sono cambiato nel mio modo, se non di sentire le cose, di proporle. Sicché I Signori dei Cavalli è frutto di quest'altro me che ama gli stessi luoghi e dice le stesse cose di prima, ma in modo diverso, e anche la scrittura lo dimostra. E poi c'è l'editore.
Ammetto che quando l'editore ha proposto una seconda edizione de Il Richiamo della Sirena sono rimasto sorpreso: davvero non era nei miei pensieri, ma lui ha pensato che i futuri lettori de I Signori dei Cavalli avrebbero voluto leggere anche il suo predecessore che, nel frattempo, è andato del tutto esaurito.
Proprio così: a una prima tiratura è seguita una seconda, ma de Il Richiamo della Sirena, vincitore della IV edizione del Premio Letterario Nazionale “Liber da mare - Libri d'amare”, restano pochissime copie in giacenza presso i distributori.
Nondimeno, c'è una bella differenza tra una seconda edizione e un'altra tiratura, e quella differenza sta proprio nei cambi che l'autore ha vissuto.
Basta confontare le due opere: I Signori dei Cavalli, lo vedrete, è più focalizzata. Il Richiamo della Sirena era infatti anche una scusa per accompagnare il lettore tra le plateie e gli stenopoi della Neapolis greca, un po' come aveva fatto Bartolommeo Capasso nel suo Napoli Greco-Romana. Nel nuovo romanzo Neapolis è solo lo scenario della vicenda: rivive insieme ai personaggi ma non ha un ruolo da protagonista perché l'attenzione è posta altrove.
Da questa differenza deriva che nel primo romanzo vi fossero tante note a pie' di pagina: era per me terribilmente importante fornire al lettore le fonti che sostenevano le cose incredibili che raccontavo, per dimostrare che non stavo inventando tutto. Nel secondo romanzo, che si svolge durante il bellum hannibalicum, quest'esigenza è assai più attenuata: quel conflitto ci è noto fin dalle scuole elementari, e ho ritenuto più corretto radunare le fonti e i passi da esse estratti in una Bibliografia. I più curiosi possono già consultarla su questo stesso blog.
C'è poi il problema dei nomi, moltissimi assai diversi da come li usiamo oggi, per pronuncia, per lingua, per i tanti accidenti che capitano in duemila anni di storia. Anche in questo caso nel primo romanzo ricorrevo spesso a note a pie' di pagina, ma lo strumento era alle volte fastidioso alla lettura. Ho allora preparato un Indice dei nomi, che sarà nelle appendici tanto de I Signori dei Cavalli quanto della seconda edizione de Il Richiamo della Sirena.
Ovviamente, una seconda edizione richiede anche una prefazione che la giustifichi, e con questo… ho taciuto il più. Ho taciuto la sorpresa di rileggere, a distanza di anni, quella storia che si è fatta scrivere da me; ho taciuto l'attento rivalutare angoli più nascosti della vicenda e inquadrarli con la nuova luce di una sola parola cambiata, spesso un solo più azzeccato sinonimo; ho taciuto il cambio di ritmo dettato da qualche virgola in meno…
È stato anche questo un bel lavoro, realizzato nel massimo rispetto del primo testo, né avrebbe avuto senso altrimenti perché Il Richiamo della Sirena è il romanzo che tanti (vabbe', alcuni) amici hanno letto e conoscono.
Per chi è dunque questa seconda edizione? Come spero di aver chiarito, chi ha avuto la bontà di leggere la prima non ha motivi di affannarsi ad accaparrarsi questa seconda. Chi invece non ha ancora letto né Il Richiamo della Sirena né I Signori dei Cavalli ha l'opportunità di seguire queste vicende in una veste più omogenea e resa più solida da una scrupolosa revisione critica del suo stesso autore.
Dato il doveroso spazio a questa seconda edizione, i prossimi post saranno ovviamente di nuovo incentrati su I Signori dei Cavalli. L'appuntamento con entrambi i romanzi in libreria è, naturalmente, per il 25 gennaio. Chi lo desidera, può cominciare a prenotarli presso il sito web dell'editore, accessibile usando i link riportati in questo stesso blog.
E con Neapolis - I Signori dei Cavalli prossimo alla pubblicazione, mi è data l'occasione non solo per ripercorrere la trama del romanzo, ma anche per riflettere su cosa è cambiato nel mio sentire queste opere.
Per quanto possano assorbire la gran parte del tempo che dedico a scrivere, questi romanzi sulla storia di Parthenope sono per me eccezioni, non la norma. Sono sempre estremamente pronto a lasciarmi distrarre da un'emozione, da una sensazione che vuole essere descritta. Lascio che il momento creativo scorra potente e spensierato come un bambino all'uscita di scuola, ma tutti sappiamo che l'entusiasmo dei bambini è spesso un fuoco di paglia: basta un insetto, la voce di un amico, e già stanno pensando a qualcos'altro. Indubbiamente, riuscire a scrivere un racconto breve sembra più semplice.
Ci ho provato, l'ho fatto, so che non è così, e i Racconti alla Luce della Luna o i diversi altri racconti da me proposti lo dimostrano, ma ecco, adesso rischio di cambiare argomento…
Un romanzo richiede doti di perseveranza e attenzione, di cura, di continuo tornare e ritornare sugli stessi passi fino a quando lo stesso scrittore sia convinto della coerenza di tutto quanto ha messo nero su bianco. Se in un racconto breve la sospensione dell'incredulità è relativamente semplice da sostenere, in un romanzo bisogna profondere un impegno titanico per ottenere lo stesso risultato dal principio alla fine.
Potrà sembrare singolare un commento simile parlando di romanzi storici, ma c'è una gran differenza tra la vicenda storica (quella, indiscutibile) e il romanzo che in essa vive. Quando poi tale opera sia posta nel contesto di una serie di romanzi, la ricerca della coerenza tra le diverse storie, la robustezza del filo conduttore, diventa quasi tortura per lo stesso autore!
Neapolis - Il Richiamo della Sirena è stato pubblicato nel 2013, e I Signori dei Cavalli è prossimo alla pubblicazione a gennaio 2021: quasi otto anni li dividono, otto anni durante i quali sono cambiato nel mio modo, se non di sentire le cose, di proporle. Sicché I Signori dei Cavalli è frutto di quest'altro me che ama gli stessi luoghi e dice le stesse cose di prima, ma in modo diverso, e anche la scrittura lo dimostra. E poi c'è l'editore.
Ammetto che quando l'editore ha proposto una seconda edizione de Il Richiamo della Sirena sono rimasto sorpreso: davvero non era nei miei pensieri, ma lui ha pensato che i futuri lettori de I Signori dei Cavalli avrebbero voluto leggere anche il suo predecessore che, nel frattempo, è andato del tutto esaurito.
Proprio così: a una prima tiratura è seguita una seconda, ma de Il Richiamo della Sirena, vincitore della IV edizione del Premio Letterario Nazionale “Liber da mare - Libri d'amare”, restano pochissime copie in giacenza presso i distributori.
Nondimeno, c'è una bella differenza tra una seconda edizione e un'altra tiratura, e quella differenza sta proprio nei cambi che l'autore ha vissuto.
Basta confontare le due opere: I Signori dei Cavalli, lo vedrete, è più focalizzata. Il Richiamo della Sirena era infatti anche una scusa per accompagnare il lettore tra le plateie e gli stenopoi della Neapolis greca, un po' come aveva fatto Bartolommeo Capasso nel suo Napoli Greco-Romana. Nel nuovo romanzo Neapolis è solo lo scenario della vicenda: rivive insieme ai personaggi ma non ha un ruolo da protagonista perché l'attenzione è posta altrove.
Da questa differenza deriva che nel primo romanzo vi fossero tante note a pie' di pagina: era per me terribilmente importante fornire al lettore le fonti che sostenevano le cose incredibili che raccontavo, per dimostrare che non stavo inventando tutto. Nel secondo romanzo, che si svolge durante il bellum hannibalicum, quest'esigenza è assai più attenuata: quel conflitto ci è noto fin dalle scuole elementari, e ho ritenuto più corretto radunare le fonti e i passi da esse estratti in una Bibliografia. I più curiosi possono già consultarla su questo stesso blog.
C'è poi il problema dei nomi, moltissimi assai diversi da come li usiamo oggi, per pronuncia, per lingua, per i tanti accidenti che capitano in duemila anni di storia. Anche in questo caso nel primo romanzo ricorrevo spesso a note a pie' di pagina, ma lo strumento era alle volte fastidioso alla lettura. Ho allora preparato un Indice dei nomi, che sarà nelle appendici tanto de I Signori dei Cavalli quanto della seconda edizione de Il Richiamo della Sirena.
Ovviamente, una seconda edizione richiede anche una prefazione che la giustifichi, e con questo… ho taciuto il più. Ho taciuto la sorpresa di rileggere, a distanza di anni, quella storia che si è fatta scrivere da me; ho taciuto l'attento rivalutare angoli più nascosti della vicenda e inquadrarli con la nuova luce di una sola parola cambiata, spesso un solo più azzeccato sinonimo; ho taciuto il cambio di ritmo dettato da qualche virgola in meno…
È stato anche questo un bel lavoro, realizzato nel massimo rispetto del primo testo, né avrebbe avuto senso altrimenti perché Il Richiamo della Sirena è il romanzo che tanti (vabbe', alcuni) amici hanno letto e conoscono.
Per chi è dunque questa seconda edizione? Come spero di aver chiarito, chi ha avuto la bontà di leggere la prima non ha motivi di affannarsi ad accaparrarsi questa seconda. Chi invece non ha ancora letto né Il Richiamo della Sirena né I Signori dei Cavalli ha l'opportunità di seguire queste vicende in una veste più omogenea e resa più solida da una scrupolosa revisione critica del suo stesso autore.
Dato il doveroso spazio a questa seconda edizione, i prossimi post saranno ovviamente di nuovo incentrati su I Signori dei Cavalli. L'appuntamento con entrambi i romanzi in libreria è, naturalmente, per il 25 gennaio. Chi lo desidera, può cominciare a prenotarli presso il sito web dell'editore, accessibile usando i link riportati in questo stesso blog.
Parole chiave:
Critica,
I Signori dei Cavalli,
Il Richiamo della Sirena,
Intro,
Neapolis,
Personale
Località:
Barcelona, Spain
mercoledì 23 dicembre 2020
Neapolis, Kampanon, Italía
Nello scrivere un romanzo, che è pur sempre un'opera di fantasia, credo che ogni scrittore si proponga un obiettivo che non è solo comunicativo, ma anche stilistico. Non è importante solo il messaggio, ma anche come lo si comunica, perché gli strumenti usati sono essi stessi veicolo del messaggio.
Un esempio abbastanza lampante di quest'affermazione ce l'offre la musica, capace di trasmettere stati d'animo con la semplice scelta di un tempo, e infatti nell'opera classica incontriamo i termini grave, allegro, vivace e vivo con diverse loro varianti, tutte indicanti un ritmo, ma riferibili benissimo a uno stato d'animo.
Già nella prefazione a Neapolis - Il Richiamo della Sirena avevo chiarito che uno degli obiettivi che mi sono prefisso coi miei romanzi è la riscoperta di momenti alti sebbene in larga parte dimenticati della storia di Napoli e della Campania. Da un lato non volevo rinunciare a dare una componente fantastica a questi romanzi, per motivi più o meno immaginabili e altri più personali, e sui quali mi riprometto di tornare per non perdere ora di vista l'obiettivo di questo post; dall'altro questa componente andava assolutamente bilanciata con la realtà storica degli eventi narrati, o avrei del tutto vanificato il mio intento dichiarato: chi avrebbe mai creduto alle vicende di un romanzo di pura fantasia? Non potevo insomma permettere che proprio il mio scrivere volesse dire: “Opera di pura fantasia, come autocertificato dal loro autore”!
Credo che lo sforzo di cercare continuamente quest'equilibrio tra il lato storico e quello fantastico sia premiante per l'opera, che acquista profondità mentre tento di coniugare e armonizzare questi due poderosi motivi creativi: unirli e non contrapporli è ciò che a mio parere rende unici questi romanzi, e credo anche che conferisca loro un'identità sfacciatamente napoletana, in perenne tensione tra un passato palpabile quotidianamente nelle onnipresenti credenze popolari, e un futuro sempre anelato e predicato come la porta del riscatto di una città che è stata avanguardista per secoli.
Riscoperta di momenti storici, dunque, ovvero di fatti realmente avvenuti. Ma i romanzi, anche quelli puramente storici, devono così tanto alla fantasia che è obiettivamente difficile convincere il lettore della verità di quanto si scrive senza altro strumento che la narrazione, anche perché la narrazione è spesso così incredibile che mette essa stessa in dubbio la veridicità delle vicende eposte.
Tra scrittore e lettore esiste però una specie di patto, segreto e non scritto, che i critici hanno codificato e al quale hanno dato un nome, la “sospensione dell'incredulità”: un artificio tecnico dello scrittore che fa leva sulla predisposizione del lettore a seguire la narrazione che quello gli propone. Non sono in grado di farne un'esposizione scientifica ed esaustiva, ma è chiaro che il lettore di una fiaba si trova in un tale stato mentale quando accetta e segue una narrazione di draghi, ad esempio. Per i miei romanzi, la sospensione dell'incredulità non era uno degli obiettivi, ma uno dei principali!
Quando riesce bene, la sospensione dell'incredulità ha generalmente motivo d'essere per tutta la durata dell'opera, che può essere un libro, un film o un'opera teatrale. Un romanzo storico deve però avere un'ambizione più grande, deve andare oltre le proprie pagine, perché le vicende narrate non sono opere di pura fantasia. Il mio uso della sospensione dell'incredulità deve quindi seguire questa considerazione e diventare “induzione al dubbio”: volevo che, terminata la lettura, nonostante gli elementi fantastici contenuti nella narrazione, il lettore si ponesse seriamente il dubbio che tutta la narrazione fosse reale, perché questo sarebbe stato l'unico modo di accertarmi che sarebbe andato a verificare ciò che io avevo solo raccontato. Quel momento di indagine autonoma del lettore, e non l'acritica accettazione della mia personale narrazione era ciò che desideravo raggiungere!
In Neapolis - Il Richiamo della Sirena sono presenti numerose note a pie' di pagina che rimandano ai passi nei quali storici e archeologi, dai tempi della vicenda e fino ai giorni nostri, hanno scritto ciò che io mi sono spesso limitato a rimettere in bella forma e ad armonizzare in un'unica opera. Speravo che una tale quantità di evidenze avrebbe destato la curiosità dei lettori.
Neapolis - I Signori dei Cavalli è alquanto diverso dal primo romanzo. Sviluppato per celebrare l'azione eroica di un uomo del quale ci restano pochissime, concitate righe di Tito Livio, il racconto si svolge nella più ampia e opprimente narrazione del bellum hannibalicum, costringendomi così a un'operazione di certosino recupero di ogni minimo dettaglio che fossi in grado di reperire nella marea di eventi riportati dagli storici. In un certo senso, è stata una personale “campagna di scavi archeologica-narrativa”, come quando ci si imbatte nei resti di una fornace di duemila anni fa e, tra gli infiniti frammenti dei vasi andati in pezzi durante la loro lavorazione, si cerca di ricostruirne uno in particolare. Nessun museo proporrebbe una didascalia che spiega per filo e per segno il restauro di ciascun singolo frammento e la loro successiva ricomposizione, ma offrirebbe alla contemplazione del pubblico il vaso ricomposto, la spiegazione dei suoi motivi decorativi, perché il vaso e non l'opera di restauro sono l'oggetto della visita del pubblico.
Neapolis - I Signori dei Cavalli ha raccolto queste considerazioni, e contiene assai meno note di quante ne contenesse il suo predecessore. I richiami? Una bibliografia raccoglie tutte le fonti che ho usato per realizzarlo, e non solo. Tra le appendici è anche inclusa una lista dei nomi, dal momento che questi sono cambiati nel tempo, spesso perdendo il contatto col loro significato etimologico: le persone non ricordano oggi perché i tali luoghi hanno tali nomi. Ripeto che tutto questo sforzo aveva il duplice obiettivo di attivare la sospensione dell'incredulità e rendere tangibile, reale, non solo realista la narrazione offerta, e siccome ogni nota a pie' di pagina ha il potere di interrompere una narrazione come poche cose, e con essa ogni sospensione dell'incredulità faticosamente raggiunta, ho preferito condensare nelle appendici i richiami alle fonti dell'opera.
Quanto si può rendere reale un romanzo? Avrebbe senso proporre tavole illustrate come accade con alcuni libri per ragazzi? La domanda è risposta a sé stessa: no, perché automaticamente il romanzo verrebbe etichettato come “per ragazzi”, cosa che chiaramente non è. L'unica eccezione a questa regola sarebbe stata qualcosa di palesemente colto (sebbene la cultura di molti ragazzi superi notevolmente quella di molti adulti), un documento dell'epoca intelleggibile ancora oggi. La Tabula Peutingeriana, che chiude il volume, ha queste a altre caratteristiche.
È una mappa dei luoghi, un tratto di unione tra quel tempo e il nostro che dimostra come i luoghi dei quali scrivo siano esattamente gli stessi che noi calchiamo oggi. La mappa originale fu probabilmente fatta realizzare da Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto, per illustrare la rete viaria pubblica dell'impero. Alla morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo. Nel tempo, copie della carta furono realizzate, e quelle in nostro possesso discendono tutte da un'unico esemplare del XII-XIII secolo dato a conoscere dall'antiquario del '500 Konrad Peutinger, oggi ospitato presso la Hofbibliotek di Vienna, e posto nel 2007 dall'UNESCO nel Registro della Memoria del mondo.
La mappa non è geograficamente esatta, indica le distanze tra le località giacché Augusto aveva realizzato il riordino della rete viaria romana, ma a una prima occhiata è difficile trovare un'immediata somiglianza tra il suo contenuto e le carte moderne. Il nord, ad esempio, è alla destra della mappa.
Dal momento che i fatti narrati in Neapolis - I Signori dei Cavalli si sono svolti per lo più tra Campania e Puglia, il volume offre una riproduzione della porzione della mappa relativa a questa regione. Non mancano dettagli che spero sorprenderanno piacevolmente il lettore, e vorrei commentare quelli che sono già stati pubblicati mediante diverse fonti.
La prima immagine di questo post raffigura la mappa a corredo del volume nella sua interezza: essa raffigura parte dell'Italia da Terracina a Salerno sul versante tirrenico (parte inferiore della mappa) e da Vasto (Istonium) a Brindisi su quello adriatico. In questa porzione dello stivale si mosse Annibale tra il 214 e il 216 a.C.
Una bellissima foto, molto evocativa, è la seconda, già circolata sul web, dove sono indicate alcune delle località principali dell'azione del romanzo: l'immagine è centrata su Capua, la nota sede degli “ozi” (dei quali ho già estesamente scritto), intorno alla quale sono visibili Puteolis, Calatie, Suessula, Atella e, ovviamente, Neapolis. Sul monte alle spalle di Capua non si legge completamente la dicitura “Castra aniba(lis) - Iovis Tifatinus”.
Immediatamente, nomi di oggi e del tempo si confondono, diventano estranei eppure evocativi. È il caso di Calatia, Suessula e Atella, all'epoca degne di apparire su questa mappa, e che oggi godono di assai minor fortuna. Eppure, Atella è stata la patria di un genere di commedia (l'atellana) che ha avuto un enorme successo in epoca romana, e alla quale vengono attribuiti tutta una serie di motivi e caratteristiche di quella che è poi diventata la grande tradizione del teatro comico napoletano. Di questa città sappiamo che diede i natali a diversi personaggi di una certa rilevanza, a massimi magistrati della federazione campana durante la guerra di Capua contro Roma al tempo dell'alleanza con Annibale, ma le sue rovine non sono oggi meglio individuate nel territorio tra Frattaminore, Orta di Atella, Sant'Arpino e Succivo.
Suessula era un nodo commerciale di una certa importanza posto in località Calabricito, nell'attuale comune di Acerra, lungo la strada che conduce a Nola. Di esso restano gli scavi posti accanto alla Casina Spinelli, che ha raccolto gran parte dei reperti della zona scoperti dall'800 alla Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto, i reperti furono donati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove costituiscono la Collezione Spinelli.
Calatia, oggi posta nel territorio di Maddaloni, al confine con San Nicola la Strada, fu una città fortificata etrusca, campana e poi romana posta lungo la Via Appia. Non grandissima per dimensioni, ebbe rilevanza strategica e politica, e i suoi resti sono oggi raccolti nell'interessante Museo Archeologico di Calatia, aperto solo nel 2015.
Nella stessa zona la mappa riporta una gran quantità di ulteriori toponimi: Herclanum, Oplontis, Stabios, Pompeis, Surrento, Templ. Minerve, Nola, Nucerie, Caudio, Benevento, Avellino, Cajatie, l'attuale abbazia benedettina di Sant'Angelo in Formis (ad Diana), Syllas, Adlefas, Casilino, Cale, Teano Sedicino, Telesie, Literno, Cumas, Vulturno, Ad Nonum, Sinuessa… Sarà facile riconoscere alcuni luoghi, meno facile altri, eppure lo sforzo premierà chi lo affronti, gratificandolo col sapore della scoperta di un'antichità forse ignota ai più.
Quest'antichità, che indica un'organizzazione e uno sviluppo difficilmente contrastabili altrove a quel tempo, è ciò di cui dovremmo essere orgogliosi noi campani, e non tanti primati di dubbia consistenza, perché l'orgoglio ha valore solo per ciò che si è o si ha, non per un obiettivo raggiunto da qualcun altro, fosse anche nostro padre! Quest'antichità è il tesoro che abbiamo e che dobbiamo imparare a tenerci stretto perché unico al mondo, e per raggiungere quest'obiettivo è nostro dovere pretendere programmi educativi più specifici, un'istruzione più robusta, seria, profonda, un'apertura a collaborazioni culturali e la realizzazione di progetti per la promozione di tutto il territorio, probabilmente uno dei pochi al mondo che potrebbe davvero vivere di un turismo facoltoso e di qualità.
Un esempio abbastanza lampante di quest'affermazione ce l'offre la musica, capace di trasmettere stati d'animo con la semplice scelta di un tempo, e infatti nell'opera classica incontriamo i termini grave, allegro, vivace e vivo con diverse loro varianti, tutte indicanti un ritmo, ma riferibili benissimo a uno stato d'animo.
Già nella prefazione a Neapolis - Il Richiamo della Sirena avevo chiarito che uno degli obiettivi che mi sono prefisso coi miei romanzi è la riscoperta di momenti alti sebbene in larga parte dimenticati della storia di Napoli e della Campania. Da un lato non volevo rinunciare a dare una componente fantastica a questi romanzi, per motivi più o meno immaginabili e altri più personali, e sui quali mi riprometto di tornare per non perdere ora di vista l'obiettivo di questo post; dall'altro questa componente andava assolutamente bilanciata con la realtà storica degli eventi narrati, o avrei del tutto vanificato il mio intento dichiarato: chi avrebbe mai creduto alle vicende di un romanzo di pura fantasia? Non potevo insomma permettere che proprio il mio scrivere volesse dire: “Opera di pura fantasia, come autocertificato dal loro autore”!
Credo che lo sforzo di cercare continuamente quest'equilibrio tra il lato storico e quello fantastico sia premiante per l'opera, che acquista profondità mentre tento di coniugare e armonizzare questi due poderosi motivi creativi: unirli e non contrapporli è ciò che a mio parere rende unici questi romanzi, e credo anche che conferisca loro un'identità sfacciatamente napoletana, in perenne tensione tra un passato palpabile quotidianamente nelle onnipresenti credenze popolari, e un futuro sempre anelato e predicato come la porta del riscatto di una città che è stata avanguardista per secoli.
Riscoperta di momenti storici, dunque, ovvero di fatti realmente avvenuti. Ma i romanzi, anche quelli puramente storici, devono così tanto alla fantasia che è obiettivamente difficile convincere il lettore della verità di quanto si scrive senza altro strumento che la narrazione, anche perché la narrazione è spesso così incredibile che mette essa stessa in dubbio la veridicità delle vicende eposte.
Tra scrittore e lettore esiste però una specie di patto, segreto e non scritto, che i critici hanno codificato e al quale hanno dato un nome, la “sospensione dell'incredulità”: un artificio tecnico dello scrittore che fa leva sulla predisposizione del lettore a seguire la narrazione che quello gli propone. Non sono in grado di farne un'esposizione scientifica ed esaustiva, ma è chiaro che il lettore di una fiaba si trova in un tale stato mentale quando accetta e segue una narrazione di draghi, ad esempio. Per i miei romanzi, la sospensione dell'incredulità non era uno degli obiettivi, ma uno dei principali!
Quando riesce bene, la sospensione dell'incredulità ha generalmente motivo d'essere per tutta la durata dell'opera, che può essere un libro, un film o un'opera teatrale. Un romanzo storico deve però avere un'ambizione più grande, deve andare oltre le proprie pagine, perché le vicende narrate non sono opere di pura fantasia. Il mio uso della sospensione dell'incredulità deve quindi seguire questa considerazione e diventare “induzione al dubbio”: volevo che, terminata la lettura, nonostante gli elementi fantastici contenuti nella narrazione, il lettore si ponesse seriamente il dubbio che tutta la narrazione fosse reale, perché questo sarebbe stato l'unico modo di accertarmi che sarebbe andato a verificare ciò che io avevo solo raccontato. Quel momento di indagine autonoma del lettore, e non l'acritica accettazione della mia personale narrazione era ciò che desideravo raggiungere!
In Neapolis - Il Richiamo della Sirena sono presenti numerose note a pie' di pagina che rimandano ai passi nei quali storici e archeologi, dai tempi della vicenda e fino ai giorni nostri, hanno scritto ciò che io mi sono spesso limitato a rimettere in bella forma e ad armonizzare in un'unica opera. Speravo che una tale quantità di evidenze avrebbe destato la curiosità dei lettori.
Neapolis - I Signori dei Cavalli è alquanto diverso dal primo romanzo. Sviluppato per celebrare l'azione eroica di un uomo del quale ci restano pochissime, concitate righe di Tito Livio, il racconto si svolge nella più ampia e opprimente narrazione del bellum hannibalicum, costringendomi così a un'operazione di certosino recupero di ogni minimo dettaglio che fossi in grado di reperire nella marea di eventi riportati dagli storici. In un certo senso, è stata una personale “campagna di scavi archeologica-narrativa”, come quando ci si imbatte nei resti di una fornace di duemila anni fa e, tra gli infiniti frammenti dei vasi andati in pezzi durante la loro lavorazione, si cerca di ricostruirne uno in particolare. Nessun museo proporrebbe una didascalia che spiega per filo e per segno il restauro di ciascun singolo frammento e la loro successiva ricomposizione, ma offrirebbe alla contemplazione del pubblico il vaso ricomposto, la spiegazione dei suoi motivi decorativi, perché il vaso e non l'opera di restauro sono l'oggetto della visita del pubblico.
Neapolis - I Signori dei Cavalli ha raccolto queste considerazioni, e contiene assai meno note di quante ne contenesse il suo predecessore. I richiami? Una bibliografia raccoglie tutte le fonti che ho usato per realizzarlo, e non solo. Tra le appendici è anche inclusa una lista dei nomi, dal momento che questi sono cambiati nel tempo, spesso perdendo il contatto col loro significato etimologico: le persone non ricordano oggi perché i tali luoghi hanno tali nomi. Ripeto che tutto questo sforzo aveva il duplice obiettivo di attivare la sospensione dell'incredulità e rendere tangibile, reale, non solo realista la narrazione offerta, e siccome ogni nota a pie' di pagina ha il potere di interrompere una narrazione come poche cose, e con essa ogni sospensione dell'incredulità faticosamente raggiunta, ho preferito condensare nelle appendici i richiami alle fonti dell'opera.
Quanto si può rendere reale un romanzo? Avrebbe senso proporre tavole illustrate come accade con alcuni libri per ragazzi? La domanda è risposta a sé stessa: no, perché automaticamente il romanzo verrebbe etichettato come “per ragazzi”, cosa che chiaramente non è. L'unica eccezione a questa regola sarebbe stata qualcosa di palesemente colto (sebbene la cultura di molti ragazzi superi notevolmente quella di molti adulti), un documento dell'epoca intelleggibile ancora oggi. La Tabula Peutingeriana, che chiude il volume, ha queste a altre caratteristiche.
È una mappa dei luoghi, un tratto di unione tra quel tempo e il nostro che dimostra come i luoghi dei quali scrivo siano esattamente gli stessi che noi calchiamo oggi. La mappa originale fu probabilmente fatta realizzare da Marco Vipsanio Agrippa, il genero di Augusto, per illustrare la rete viaria pubblica dell'impero. Alla morte dell'imperatore, la carta fu incisa nel marmo. Nel tempo, copie della carta furono realizzate, e quelle in nostro possesso discendono tutte da un'unico esemplare del XII-XIII secolo dato a conoscere dall'antiquario del '500 Konrad Peutinger, oggi ospitato presso la Hofbibliotek di Vienna, e posto nel 2007 dall'UNESCO nel Registro della Memoria del mondo.
La mappa non è geograficamente esatta, indica le distanze tra le località giacché Augusto aveva realizzato il riordino della rete viaria romana, ma a una prima occhiata è difficile trovare un'immediata somiglianza tra il suo contenuto e le carte moderne. Il nord, ad esempio, è alla destra della mappa.
Dal momento che i fatti narrati in Neapolis - I Signori dei Cavalli si sono svolti per lo più tra Campania e Puglia, il volume offre una riproduzione della porzione della mappa relativa a questa regione. Non mancano dettagli che spero sorprenderanno piacevolmente il lettore, e vorrei commentare quelli che sono già stati pubblicati mediante diverse fonti.
La prima immagine di questo post raffigura la mappa a corredo del volume nella sua interezza: essa raffigura parte dell'Italia da Terracina a Salerno sul versante tirrenico (parte inferiore della mappa) e da Vasto (Istonium) a Brindisi su quello adriatico. In questa porzione dello stivale si mosse Annibale tra il 214 e il 216 a.C.
Una bellissima foto, molto evocativa, è la seconda, già circolata sul web, dove sono indicate alcune delle località principali dell'azione del romanzo: l'immagine è centrata su Capua, la nota sede degli “ozi” (dei quali ho già estesamente scritto), intorno alla quale sono visibili Puteolis, Calatie, Suessula, Atella e, ovviamente, Neapolis. Sul monte alle spalle di Capua non si legge completamente la dicitura “Castra aniba(lis) - Iovis Tifatinus”.
Immediatamente, nomi di oggi e del tempo si confondono, diventano estranei eppure evocativi. È il caso di Calatia, Suessula e Atella, all'epoca degne di apparire su questa mappa, e che oggi godono di assai minor fortuna. Eppure, Atella è stata la patria di un genere di commedia (l'atellana) che ha avuto un enorme successo in epoca romana, e alla quale vengono attribuiti tutta una serie di motivi e caratteristiche di quella che è poi diventata la grande tradizione del teatro comico napoletano. Di questa città sappiamo che diede i natali a diversi personaggi di una certa rilevanza, a massimi magistrati della federazione campana durante la guerra di Capua contro Roma al tempo dell'alleanza con Annibale, ma le sue rovine non sono oggi meglio individuate nel territorio tra Frattaminore, Orta di Atella, Sant'Arpino e Succivo.
Suessula era un nodo commerciale di una certa importanza posto in località Calabricito, nell'attuale comune di Acerra, lungo la strada che conduce a Nola. Di esso restano gli scavi posti accanto alla Casina Spinelli, che ha raccolto gran parte dei reperti della zona scoperti dall'800 alla Seconda Guerra Mondiale. Al termine del conflitto, i reperti furono donati al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove costituiscono la Collezione Spinelli.
Calatia, oggi posta nel territorio di Maddaloni, al confine con San Nicola la Strada, fu una città fortificata etrusca, campana e poi romana posta lungo la Via Appia. Non grandissima per dimensioni, ebbe rilevanza strategica e politica, e i suoi resti sono oggi raccolti nell'interessante Museo Archeologico di Calatia, aperto solo nel 2015.
Nella stessa zona la mappa riporta una gran quantità di ulteriori toponimi: Herclanum, Oplontis, Stabios, Pompeis, Surrento, Templ. Minerve, Nola, Nucerie, Caudio, Benevento, Avellino, Cajatie, l'attuale abbazia benedettina di Sant'Angelo in Formis (ad Diana), Syllas, Adlefas, Casilino, Cale, Teano Sedicino, Telesie, Literno, Cumas, Vulturno, Ad Nonum, Sinuessa… Sarà facile riconoscere alcuni luoghi, meno facile altri, eppure lo sforzo premierà chi lo affronti, gratificandolo col sapore della scoperta di un'antichità forse ignota ai più.
Quest'antichità, che indica un'organizzazione e uno sviluppo difficilmente contrastabili altrove a quel tempo, è ciò di cui dovremmo essere orgogliosi noi campani, e non tanti primati di dubbia consistenza, perché l'orgoglio ha valore solo per ciò che si è o si ha, non per un obiettivo raggiunto da qualcun altro, fosse anche nostro padre! Quest'antichità è il tesoro che abbiamo e che dobbiamo imparare a tenerci stretto perché unico al mondo, e per raggiungere quest'obiettivo è nostro dovere pretendere programmi educativi più specifici, un'istruzione più robusta, seria, profonda, un'apertura a collaborazioni culturali e la realizzazione di progetti per la promozione di tutto il territorio, probabilmente uno dei pochi al mondo che potrebbe davvero vivere di un turismo facoltoso e di qualità.
Parole chiave:
Assaggi,
Campania,
Capua,
Collegamenti,
Critica,
Cultura,
I Signori dei Cavalli,
Kapu,
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Luoghi,
Multimedia,
Neapolis,
Ozi
Località:
Barcelona, Spain
sabato 12 dicembre 2020
Con-versi-amo
Pubblico con entusiasmo la copertina di Neapolis - I Signori dei Cavalli! È un po' come vedere il viso di una persona della quale ho fino a ora solo sentito parlare, che finalmente incontro. Con queste due immagini, l'una reale, l'altra metaforica, apro un post dedicato alla poesia contenuta ne Il Signore dei Cavalli. Ripercorrerò con esempi come sono giunto ad apprezzare la presenza della poesia in un'opera letteraria. Il gioco di parole nel titolo, “con-versi-amo”, è infatti sia un invito a voi lettori a dialogare, sia il messaggio “mi piace quando c'è poesia”.
Parole chiave:
Assaggi,
Critica,
I Signori dei Cavalli,
Intro
Località:
Barcelona, Spain
sabato 28 novembre 2020
Decifrare una Storia (III)
Nell'ultimo post abbiamo visto come Annibale abbia suscitato la reazione neapolitana: diede le campagne intorno a Neapolis al saccheggio dei suoi uomini per provocare un'azione difensiva, che non si fece attendere:
una truppa di cavalleria venne loro (ai cartaginesi) incontro, che fu attratta dai Numidi in ritirata nell'imboscata e circondata.
Parole chiave:
Annibale,
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Senofonte,
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